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martedì 12 marzo 2013

Chi è Giuseppe Carini

 "Giornata della Memoria e dell'Impegno in ricordo delle vittime delle mafie”

martedì 12 marzo ore 19.00 
Chiesa di San Demetrio
Incontro con Giuseppe Carini

La vita negata del testimone di giustizia. Intervista a Giuseppe Carini. Grazie a lui puniti gli assassini di Don Pino Puglisi.
25 febbraio 2008

Il 15 Settembre del 1993 nel quartiere Brancaccio di Palermo cadeva sotto il fuoco della mafia, Padre Pino Puglisi. Era il giorno del suo 56° compleanno. Durante le prime indagini, gli inquirenti erano disorientati. Si pensava che il sacerdote potesse essere un informatore della polizia o che si trattasse addirittura di un tentativo di furto. Nessuno pensava che la criminalità siciliana potesse arrivare a tanto.

 La verità veniva fuori solo grazie alla testimonianza di Giuseppe Carini. Un ragazzo di soli 25 anni che nel suo quartiere natale, feudo di Michele Greco, frequentava la parrocchia di San Gaetano, dove il prete assassinato insegnava il significato della legalità ad un gruppo di ragazzi, per allontanarli dalla strada.

 Padre Puglisi veniva ucciso perché le sue coraggiose parole disturbavano le attività di Cosa Nostra. Dei fratelli Giuseppe e Filippo Graviano, mandanti del brutale omicidio. Entrambi condannati all’ergastolo. Carini raccontava tutto ai magistrati, Luigi Patronaggio e Lorenzo Matassa: le minacce subite sulla propria pelle, le botte e gli incendi intimidatori nelle case degli amici dell’Associazione Intercondominiale, del quartiere palermitano. Una scelta coraggiosa, a sacrificio della propria vita, in nome della giustizia e dello Stato. La stesso che oggi sembra averlo abbandonato.

 Al tempo dell’omicidio aveva solo 25 anni, perché ha deciso di testimoniare?
“Innanzitutto la voglia di riscatto del mio quartiere e della mia persona. Con padre Puglisi abbiamo conosciuto il rispetto della dignità, della propria vita e di quella degli altri. Non ci arrendevamo a vivere in un quartiere dove ogni cosa era vista solo come la ‘concessione di un favore’ e non come un ‘diritto’ sociale. La mia scelta di collaborare è stata una scelta di diritto. Il diritto che i mandanti e gli assassini fossero condannati”.