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Na strende m'agghje 'ndise atturne o core / de fueche. Na u fa cchjù, ca pozze more. Da “Nu viecchju diarie d'amore” di Pietro Gatti

martedì 24 luglio 2012

Pierpaolo Faggiano - The Spiritual Man


Vi riporto di seguito un pensiero scritto da Marco Colonna in merito al concerto del 18 luglio sorso.


NOI SIAMO UNA GRANDE CULTURA

La capacità di una cultura di identificare il dolore, viverlo e farne una rappresentazione cosciente e sociale, è sintomo di una grandezza, di una maturità che presagisce valore e capacità di esistenza. Capita perciò, che un gruppo di musicisti possa identificarsi in una cultura per salutare, ad un anno dalla sua violenta scomparsa, un amico, collega e compagno: Pierpaolo Faggiano.
La cosa che risulta evidente è che esistano ancora musicisti (di cui mi fregio di fare parte, probabilmente mio malgrado) in cui la dimensione collettiva è ben più importante dell'affermazione individuale. Ho scoperto come il dolore sia parte integrante di un processo di collettivizzazione forte e non ideologico. Tanto da farmi pensare che il nostro essere Europei cede il passo ad una ben più profonda capacità di relazionarsi a se stessi come esseri umani. Il Jazz da subito ha posto alla sua base il meticciamento culturale, per proporre sintesi sempre nuove e capaci in maniera rapida e repentina di rivoluzionare i punti di vista e le analisi. Appropriarsi di un linguaggio identificato ideologicamente con il popolo afroamericano, renderlo attuale e profondo in maniera onesta e vera, tanto da tracciare nella sua storia i gradi della nostra sensibilità è risultato che non andrebbe sottovalutato.
Non andrebbe sottovalutato il lavoro di centinaia di musicisti che sperimentano linguaggi e forme nel pieno rispetto e adorazione di una tradizione oramai secolare, capace di mettere in relazione molti dei linguaggi costruiti nel novecento musicale , in maniera organica e viscerale. Sottovalutare chi si occupa di forzare le regole del mainstream attuale è di per se una negazione dei valori fondanti di questa musica, di cui mi sento almeno in parte, attore contemporaneo.
Mi viene da pensare come in una cultura i riti funebri siano a volte la più alta realizzazione dei valori di bellezza, uso e trasformazione. Nell'esperienza vissuta per salutare il caro Pierpaolo, tutto questo si è realizzato attraverso la mimesi completa ai valori fondanti in cui ci identifichiamo.
Concepita in maniera amicale, dai musicisti per i musicisti, senza nessuno scopo commerciale e senza interessi in gioco, la performance è stata in qualche maniera esemplificativa del nostro essere emotivo e intellettuale. Il poeta e musicista Vittorino Curci ha aperto con le sue parole e la sua voce profonda, terrena e solare, così simile al suo ambiente di campi di ulivi e arida terra rossa, per accompagnarsi al flebile ed instabile suono del suo contralto, tanto umano da proiettarci quasi nella fragilità del nostro essere vivi. In un abbacinante contrasto che ci ha portato tutti, come guidati da una mano maestra (in questo noi mediterranei ci riconosciamo nella nostra essenza africana).
Subito dopo ho avuto l'onore di suonare con i maestri Marcello Magliocchi e Gianni Lenoci. Ovviamente lo sguardo non può essere così critico e analitico essendo io uno dei musicisti. Ma l'impressione (che vorrò verificare appena le registrazioni potranno essere ascoltate) è che naturalmente ci si sia trovati a condividere un universo di suoni in cui la densità fosse materia architettonica ed il suono respiro di insieme. Qui la componente dell'incontro diviene fondamentale. Incontro di realtà distanti geograficamente e dal punto di vista generazionale, messe a confronto con il medium profondo della condivisione di una condizione emotiva. Comunità. Il senso profondo di appartenere ad una comunità, che condivide molto fra pensieri, riflessioni, azioni.....Ancora una sensazione forte in tal senso.
Ancora al maestro Vittorino Curci il compito di traghettarci verso l'ultimo set della performance che vedeva Angelo Olivieri, Pasquale Innarella, lo stesso Vittorino Curci e Ivano Nardi.
Essendo stato di questo momento anche spettatore, mi sento ovviamente più a mio agio a parlarne in maniera analitica.
Un impianto tonale aperto ed instabile, ma con un forte polo attrattivo, un senso del ritmo molto più accentuato e “jazz” del nostro set, polifonia primitiva in cui il timbro e le linee melodiche si attraversavano in maniera esplosiva, dando l'impressione di essere un delicato equilibrio di scontri violenti. Il tutto concentrato e convincente senza nessuna voglia di prevalere solistico, senza nessun trucco di maniera (che ovviamente non manca quasi mai in quello che comunemente si chiama musica improvvisata), una “second line” furente e umana, pervasa dall'instabilità di Vittorino e dal suono pastoso del tenore del caro Pasquale. Il ritmo sospeso e sognate di Ivano, capace come di consueto di definire lo spazio in respiri infiniti e la lama lucente del suono di Olivieri...Tanto per essere poetici nella descrizione di ciò che è successo.....Analiticamente pareva evidente proprio la derivazione che un gruppo di fiati in questo ambito musicale trae da linguaggi archetipi del jazz, e da (indissolubilmente) la visione afro-oratoria di Albert Ayler.
Come dire abbiamo le nostre funzioni religiose. I nostri inni, le nostre odi. Abbiamo introiettato lo spirito di qualcosa di antico, ne siamo parte integrante in quel calderone meticcio che chiamiamo jazz.
Ho notato che l'improvvisazione finale, che ha coinvolto tutti i musicisti è stata una sorta di proposta al futuro. Una lunga improvvisazione, in cui ognuno di noi ha percepito una grande sintesi e forza, quasi una proposta, una soluzione delle esperienze precedenti.
Il nostro amico Pierpaolo si è tolto la vita un anno fa. Violentando il nostro rimanere qui, a cercare di capire un gesto, un'azione incontrollabile.
La possibilità che Giusy ed Adele ci hanno regalato, promuovendo la performance di cui stiamo parlando è stata quella di capire almeno cosa noi non vogliamo essere e cosa realmente siamo.
Noi siamo una grande cultura, che resiste ai moti scialbi di questa epoca oscura, che resiste all'abbrutimento e alla scelleratezza di un ambiente musicale...e lo fa con la poesia, con il canto, con l'essenza stessa del nostro appartenere alla genia dei musicisti di jazz.....
Jazz....Non nero, non europeo, ma umano. Capace di piangere il proprio dolore, trasformarlo e vincerlo, trasformandolo in bellezza, in infinità. Noi siamo parte di qualcosa di grande. Noi siamo una grande cultura. Sarebbe un grave errore sottovalutarlo.

Marco Colonna