Dall’Umbria alla Puglia, dalla Puglia al Nord Europa (e ritorno), ritrovando personaggi già conosciuti, con i loro tic e le loro passioni, ma attraverso una storia nuova. I romanzi di Caterina Emili hanno ormai acquisito una struttura circolare, da L’autista delle slot (Besa, 2012) a L’innocenza di Tommasina(Amazon, 2014) fino al più recente, Il ritrovamento dello zio bambino (anche questo acquistabile, in formato ebook, su Amazon, euro 1,99). Chi ha già letto i romanzi precedenti ritroverà perciò, al timone della narrazione, Vittore Guerrieri, trasferitosi a Ceglie Messapica dopo aver avviato un’impresa attiva nella commercializzazione di prodotti alimentari pugliesi; e con lui gli amici Mario e Maria, e il Professore con la sua erudizione elargita a piene mani tra gli avventori del solito bar. Al loro fianco, personaggi nuovi nella cui storia personale si compongono, pagina dopo pagina, i fili della vicenda narrata: Carmela Maggiore, Guglielmo, il vecchio Catnazz, tutti in qualche modo legati al ritrovamento dello scheletro del piccolo Domenico, scomparso nel nulla più di cinquanta anni prima.
Ciò che resta del cadavere, ancora vestito a festa, viene ritrovato dallo stesso Vittore al piano terra della sua casa, appena acquistato da Carmela Maggiore. Gli indizi per un giallo in piena regola ci sono tutti: la collocazione del corpo in una cassetta militare britannica della seconda guerra mondiale, la complessa storia familiare di Carmela nata da una ragazza madre, la volontà del maresciallo Sante Tamurri nel fare luce su questa antica e intricata vicenda. Vittore, da parte sua, non si limita a far prelevare la cassetta con lo scheletro del bambino dai carabinieri. Intreccia con Carmela e Guglielmo, rispettivamente sorellastra e nipote del piccolo Domenico, una amicizia sincera. Nel campo di pannelli fotovoltaici gestito da Guglielmo conosce Catnazz, arcigno, malato e poco amato in paese. Quest’ultimo ha trascorso alcuni anni in Belgio, a Overijse, proprio dove Vittore compie un viaggio di lavoro in compagnia di Mario. E al suo ritorno, grazie alle ricerche di Tamurri e alla confidenze di Carmela, tutti i nodi verranno al pettine.
Anche in questo romanzo Emili impasta italiano e dialetto come i taralli bolliti di Carmela, costruisce il racconto con la «sottile mescolanza» che serve a fare la torta al testo, specialità umbra preparata da Vittore, e lo fa scivolare giù come il caffè lungo prediletto dal protagonista («proprio non la sopporto la crema nera che qui chiamano caffè, prima di arrivarti in gola ti fa penare, sosta nel palato, sporca i denti, si attacca alla lingua, esaurisce lì calore e profumo»): la gastronomia accompagna, come nei romanzi precedenti, tutti gli snodi della narrazione. Un altro aspetto che torna costantemente nel ciclo dei romanzi umbro-cegliesi è quello del gioco d’azzardo. Stavolta è al casinò Jolly di Overijse che Vittore e Mario si lasciano prendere la mano: il primo alla roulette, dove gioca anche il denaro affidatogli da Catnazz («Prima di puntare aspetto il cambio del croupier per osservarlo dall’inizio, per studiare il suo braccio perché gira e rigira, spinge la pallina nello stesso settore»); il secondo alle slot machine, con le quali ha rapporto quasi carnale («lo spazio tra lui e lei è pochissimo, è un corpo a corpo, quasi si sfiorano […] e, quando sullo schermo compare un buon punteggio, luci e marcette vanno al massimo, le stelle brillano, le trombe suonano. Praticamente la colonna sonora d’una scopata»). Finita la dose di gioco, però, si torna a Ceglie, a risolvere ancora una volta un mistero, quello di Domenico, in «una Puglia strana, trulli e olivi, figlia di messapi e di preti. Un mondo a sé che palpita un suo ritmo, che respira un suo fiato».
Stefano Savella