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Na strende m'agghje 'ndise atturne o core / de fueche. Na u fa cchjù, ca pozze more. Da “Nu viecchju diarie d'amore” di Pietro Gatti

giovedì 16 aprile 2020

I gabbiani non conoscono il male


 I GABBIANI NON CONOSCONO IL MALE   
di Vincenzo Gasparro
Introduzione critica di Vincenzo Di Oronzo
Copertina di Uccio Biondi

Tobi era un uomo buono, rispettava la Legge, seppelliva i morti e faceva l’elemosina. Ma poi diventò cieco perché, dopo aver seppellito un morto, si addormentò sotto le mura della città e dei passeri fecero cadere i loro escrementi caldi sui suoi occhi, ma Dio nella disgrazia non lo lasciò solo, gli ridette la vista, il figlio Tobia sposò Sara con l’aiuto dell’angelo Raffaele, che in ebraico vuol dire “Dio guarisce”, e visse in pace fino a 112 anni e fu sepolto con onore. Prima di morire, però, chiamò il figlio e gli disse di fuggire da Ninive perché ormai nella città vedeva solo il trionfo del male. 
Il racconto biblico di Tobia è una bella novella che vuole insegnarci che la storia degli uomini, nei suoi passaggi cruciali, è retta dalla mano di Dio. Nel nostro mondo secolarizzato, post metafisico e post cristiano, però, l’uomo ha imparato a fare a meno di Dio ed è rimasto solo con la sua libertà. Il destino individuale e collettivo è solo frutto della sua libertà dispiegata nella pratica della solidarietà e della fratellanza evangelica e, proprio per questo, la fede non è più alienazione, ma un’occasione che ci aiuta a trovare il senso profondo della vita.