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Na strende m'agghje 'ndise atturne o core / de fueche. Na u fa cchjù, ca pozze more. Da “Nu viecchju diarie d'amore” di Pietro Gatti

sabato 12 settembre 2020

Esperienze vissute da Vito Elia

 A tu per tu con la Legionella pneumophila

Da esperienze vissute da Vito Elia


A sentire cosa è successo in Lombardia in questi ultimi giorni, verrebbe di esclamare “non bastava il coronavirus, adesso ci si mette anche la Legionella pneumophila”.  Per favore, niente panico questa volta!

Proprio quando ancora siamo tutti presi dalla pandemia Covid - 19, in questi ultimi giorni,  il sistema mediatico ha focalizzato parte delle sue attenzioni su qualcosa che sta avvenendo proprio non molto distante dal luogo in cui vivo con la mia famiglia, in provincia di Varese. I fatti denunciati parlano di una quindicina di casi di infezione da Legionella verificatisi a Busto Arsizio, si parla anche di due morti, ma l’assessore alla sanità della regione Lombardia Giulio Gallera fa sapere che si tratta di un uomo, nato nel 1942, e ricoverato in Broncopneumologia per polmonite da Legionella, morto per altra causa. Il secondo decesso invece riguarda una donna del 1939, ricoverata in Medicina e morta per patologia neoplastica. Lo stesso Gallera fa sapere che la situazione è sotto controllo.

Io stesso, nel mio piccolo, penso che non sia proprio il caso di scatenare una nuova psicosi generale, considerato che in questo momento ne abbiamo ben donde. Nell’ascoltare e leggere le notizie sulla Legionella, mi ha riportato indietro nel tempo. Ho pensato e ripensato più volte alla mia vecchia professione ospedaliera, vissuta in un laboratorio di Microbiologia e Genetica. Ad un certo punto mi sono chiesto se non era il caso di rendere di dominio pubblico alcune importanti esperienze vissute, nella speranza di contribuire attraverso la mia narrazione a far meglio comprendere quanto sia utile avere in possesso nel proprio bagaglio culturale alcune fondamentali conoscenze scientifiche, che possono ritornarci utili in casi drammatici, come ad esempio quello che stiamo vivendo dalla fine dell’anno 2019 a tutt’oggi, fuggendo il rischio di farsi trovare del tutto impreparati e cadere nella morsa, come dicevo prima, di una psicosi generale.

Parte da qui una più o meno breve narrazione di eventi importanti, succedutesi nel corso della mia esperienza lavorativa presso l’Ospedale di Circolo di Varese, che si è dipanata nel lungo periodo di 35 anni, a partire cioè dai primi del mese di agosto 1972 e la fine di luglio 2007 quando, maturato il diritto di quiescenza, ho deciso di dedicare la restante parte della mia vita alla passione dell’arte, oltre che alla mia famiglia.

Molti anni or sono, siamo ai primi anni ’80, nel Reparto di Cardiochirurgia dell’Ospedale di Varese vennero registrate alcune morti sospette, una dopo l’altra, tanto che ad un certo punto, molto preoccupata, la Direzione Sanitaria decise di intervenire, istituendo un tavolo di crisi a cui prese parte, tra l’altro, il primario della Cardiochirurgia Prof. Emilio Respighi (autore di alcuni interventi a cuore aperto a nostra amica di famiglia cegliese) e l’allora direttore del Laboratorio di Analisi Chimico Cliniche, Microbiologiche e Genetica Prof. Francesco Porta, per un’analisi approfondita della situazione e per decidere insieme gli opportuni provvedimenti da adottare, nel tentativo di spezzare così la catena dei decessi.

In quella sede vennero messe a fuoco le singole situazioni che avevano avuto come epilogo la morte di alcuni sfortunati pazienti. Cosa importante, fu fatta luce pure sugli elementi che stabilivano una correlazione tra un decesso e l’altro. Insomma, nell’incontro emerse un fattore oggettivo importante e cioè che a determinare la morte dei pazienti era stato uno stesso batterio, ovvero un ceppo di Staphilococcus aureus molto resistente in ambito di antibiotico terapia.

Il risultato di quel tavolo portò dunque la direzione sanitaria del maggiore degli ospedali varesini a prendere alcuni drastici provvedimenti, uno dei quali, il più importante, volto a scoprire la fonte di infezione da Staphilococcus aureus. Appena giunto di ritorno in Laboratorio, ricordo il direttore di essere venuto a trovarmi nel mio studio di Coordinatore dei Tecnici, al fine di aggiornarmi sull’esito dell’incontro, avuto in direzione sanitaria, e per conferirmi un incarico speciale, ossia organizzare un servizio di intervento microbiologico nel reparto di Cardiochirurgia, dove si erano verificati i decessi prima menzionati.

Era la prima volta che un intervento di quel tipo veniva prospettato. Ricevuto l’incarico, organizzai un cronoprogramma, al fine di effettuare una serie di prelievi su tutti gli operatori in carico al reparto di Cardiochirurgia, a cominciare dal suo direttore prof. Respighi sino all’ultimo degli infermieri, non tralasciando impiegati ed OSS. Insomma nessuno escluso. Il primo obiettivo era dichiaratamente quello di verificare microbiologicamente se la fonte d’infezione potesse essere umana e dunque individuabile in uno degli operatori di quel reparto ospedaliero.

Un secondo obiettivo, egualmente importante, fu quello di effettuare test microbiologici ambientali, per capire se la fonte d’infezione era invece da ricercare negli ambienti, gli stessi in cui avevano trovato ospitalità gli sfortunati pazienti, prima della loro inaspettata e tragica fine.

Per quel che riguarda il personale medico e paramedico, effettuai personalmente una serie di prelievi nei più importanti siti corporei. Utilizzando tamponi sterili, effettuai prelievi oculari, auricolari, nasali (coana six e dex), poi faringeo, ascellare, interdigitale, inguinale. In aggiunta a questi prelievi, ad ognuno degli operatori ordinai di raccogliere un campione sterile di urina e di effettuare un tampone rettale. Tutti i prelievi così ottenuti vennero sottoposti ad esame colturale presso il settore di Batteriologia, nel tentativo di centrare la risposta che volevamo, ovvero poter isolare il batterio killer.

Per quanto riguarda i test microbiologici ambientali, adottai alcune soluzioni “fatte in casa”, considerato che era la prima volta di un intervento di quel tipo. In conclusione, lasciai una serie di piastre di Petri contenenti terreni colturali vari a contatto con l’aria ambientale, per un tempo prestabilito, nei punti critici delle camere che avevano ospitato gli sfortunati pazienti, successivamente deceduti ed eseguii una serie di tamponi nelle vicinanze del letto, sul comodino, su alcune strumentazioni, ecc., ecc.

Senza troppo dilungarmi, dirò che le indagini microbiologiche portarono a individuare la fonte di  infezione, ovvero le mani di un operatore socio sanitario, portatore sano di Staphilococcus aureus, molto resistente agli antibiotici, dunque lo stesso agente batterico Gram-positivo che aveva causato una serie di decessi nell’Unità di Cardiochirurgia dell’ospedale varesino.

E’ fuori dubbio che, riconosciuta la fonte d’infezione e prese le dovute precauzioni, da quel momento in quell’importante reparto ospedaliero sia ritornata la serenità giusta, per poter riprendere l’attività con ritrovate determinazione ed efficacia.

E’ ormai storia, nacque da quello sfortunato evento il Servizio Prelievi Microbiologici Ambientali di quella che più tardi assumerà la denominazione di Azienda Ospedaliero Universitaria - Ospedale di Circolo di Varese. Questo nuovo Servizio, unico nei n. 6 ospedali dell’Azienda succitata, avrò l’onore ed onere di sviluppare autonomamente nel corso del tempo, a cominciare dai primi anni ’80 sino al mese di luglio 2007, anno in cui deciderò di lasciare l’ospedale varesino per frequentare l’Accademia di Belle Arti di Brera a Milano e dedicarmi alla mia grande passione verso l’arte che, comunque, ho iniziato ad alimentare, con la pittura, già dopo solo alcuni mesi l’avvenuta assunzione presso quell’ospedale. Del resto, frequentando l’Accademia porterò il mio importante corredo di conoscenze scientifiche, al fine di sviluppare progetti probabilmente mai prima realizzati da altri allievi. Ma, tutto ciò farà parte di un nuovo capitolo da scrivere.

Al fine di sviluppare il Servizio appena nato, dirò che cominciai ad effettuare acquisti di speciali terreni colturali per prelievi ambientali a contatto per superfici, altri terreni pronti in piastra da utilizzare unicamente su apposite apparecchiature, fisse e mobili, predisposte ad aspirare campionamenti di aria ambientale da testare microbiologicamente. Fatte acquistare le nuove apparecchiature dall’azienda, di lì a poco cominciai a programmare controlli ambientali, che sarebbero divenuti progressivamente routinari, specialmente nelle sale operatorie, prima, durante e al termine degli interventi chirurgici. E’ fuori dubbio che tutto ciò sia stato anticipato da un lavoro di sensibilizzazione, portato avanti da chi scrive nei confronti dei numerosi Capisala di tutta l’azienda.

Con il passar del tempo il servizio venne esteso alle camere protette, agli ambienti della farmacia interna ospedaliera, in cui venivano effettuate non poche preparazioni galeniche, tra cui sacche di alimenti parenterali personalizzate, farmaci e associazioni di farmaci personalizzati e ovunque si presentasse un problema di natura microbiologica. Giorno dopo giorno, il Servizio Prelievi Ambientali non solo divenne punto di riferimento per il maggiore degli ospedali di Varese, ma lo divenne anche per gli ospedali della provincia, ivi comprese strutture sanitarie extra aziendali come, ad esempio, l’Istituto Clinico Scientifico Maugeri IRCCS di Tradate.

Proprio presso questa ultima struttura sanitaria, in seguito ad un mio intervento, fu possibile stabilire la fonte d’infezione da Legionella pneumophila, il batterio Gram-negativo che aveva causato la malattia legionellosi di due suoi dipendenti. E’ importante notare che ambedue i dipendenti appartenevano al gruppo degli operatori idraulici, ed è altresì importante notare come la fonte infettiva sia stata insita in un rubinetto mal funzionante, che permetteva uno sgocciolamento continuo di acqua tiepida, guarda caso, posto in un’area di competenza degli stessi operatori idraulici di quell’Istituto.

Mosso proprio da questa analogia con i fatti di questi giorni, avvenuti a Busto Arsizio, che mi sono deciso di mettere nero su bianco e far conoscere alcune mie esperienze vissute, la prima riguardante lo Staphilococcus aureus e le successive vissute, potrei dire, a tu per tu con la Legionella pneumophila, nella speranza di dare eventualmente un piccolo contributo di conoscenza al lettore, quella conoscenza cioè potenzialmente capace di fuggire il rischio di far instaurare nella comunità cegliese timori tanto superflui, quanto oltremodo dannosi.

Ritengo essere utile ricordare, a questo punto, la derivazione della denominazione del batterio Gram-negativo, oggetto delle nostre attenzioni. Ecco cosa scrive, a proposito di Legionella pneumophila, A. Orsi in Diagnostica e Tecniche di Laboratorio dell’autore Filippo Pasquinelli (lo stesso Prof. F. Pasquinelli, unitamente al Prof. Franco Porta, è autore della collana dedicata ai medici e tecnici di laboratorio, Ed. Rosini Firenze, di cui mi fregio essere uno dei co-autori). Nell’estate del 1976 si verificò a Filadelfia lo scoppio di una grave malattia respiratoria tra i partecipanti ad un convegno della Legione Americana. L’epidemia colpì quasi tutti i legionari (circa 5.000 persone) che assistevano ai lavori del convegno nella sala di un albergo. La malattia venne pertanto chiamata “malattia dei Legionari” ed il microrganismo che in seguito fu isolato e ritenuto responsabile della forma morbosa prese il nome di Legionella pneumophila.

E’ utile pure ricordare che nella epidemia di Filadelfia, dovuta al sistema di condizionamento aria di quell’albergo, vi furono 34 decessi. Tutto ciò fa parte della storia della medicina ed è stato alla base della programmazione dei prelievi ambientali, ragionata e concordata nel corso di un vis a vis tra il direttore della Microbiologia dell’Azienda Ospedaliero Universitaria varesina prof. Antonio Toniolo e me medesimo, prima che io stesso mi apprestassi ad effettuare l’intervento presso l’Istituto Maugeri in questione. Dall’incontro con il mio direttore prof. Toniolo (toscano di origini, subentrato nel frattempo al posto del prof. Franco Porta)  emerse la preoccupazione comune che la fonte di infezione nell’istituto testé menzionato potesse essere la stessa di Filadelfia, ovvero il sistema di condizionamento d’aria.

Il giorno successivo, ricordo di aver effettuato prelievi ambientali in tutte le camere dei pazienti, salendo sino in cima a quella struttura sanitaria, dove ben visibile mi apparve la cima del monte Resegone (derivazione del termine lombardo resegón, grande sega), in una giornata di primavera-estate che ricordo semplicemente splendida. Non solo prelievi ai condizionatori d’aria, l’obiettivo dei prelievi era infatti focalizzato anche sui dispositivi di erogazione acqua, come rubinetti e soffioni delle docce presenti in ogni singola camera dei pazienti. Se la priorità era stata, per ovvii motivi, quella di provvedere a controllare ogni camera paziente, non potevo terminare i prelievi senza soffermarmi negli ambienti frequentati più assiduamente dal gruppo degli idraulici, dipendenti dell’Istituto Maugeri. Questo approccio, per certi versi scontato, si dimostrò mossa vincente che mi permise di scoprire un rubinetto mal funzionante, che dava vita ad uno sgocciolamento di acqua semicalda, uno dei fattori determinanti per lo sviluppo incontrollato del batterio Legionella.

Di legionelle in ambito diagnostico di microbiologia ne erano transitate a iosa sino a quel momento, tuttavia il primo incontro diretto con una sorgente di diffusione del batterio, per me,  fu quello presso l’Istituto Maugeri ma, come vedremo più avanti, vi sarà ancora una nuova esperienza futura, a dir poco eccezionale, che resterà nella storia del nuovo grande ospedale di Varese.

Il Servizio Prelievi Ambientali, da me sviluppato e potenziato nel tempo, ebbe a ricoprire un importante ruolo nell’anno 2007, quando durante il periodo  primaverile venne portata a termine la costruzione del nuovo grande ospedale di Varese.

A quel tempo, prima di effettuare il trasloco dalle vecchie unità operative e dai servizi vari alla nuova struttura ospedaliera, si rese necessario effettuare un intervento di tipo microbiologico, atto a certificare il livello di salubrità dei nuovi ambienti. In questa ottica, accettai con molto piacere di fare una nuova importante esperienza, che si sarebbe dimostrata fondamentale per consentire l’inizio delle molteplici attività nella nuova grande struttura ospedaliera. Del resto, mi si era presentata una occasione più unica che rara, che mi avrebbe permesso di arricchire con nuovi importanti dati quella gran mole di informazioni, raccolte in anni ed anni di servizio, tanto da indurmi ad ipotizzare una pubblicazione scientifica. 

Ricordo, come se fosse ieri, i contenuti di una telefonata da parte di una esperta caposala, che di seguito sintetizzo: <<Ciao Elia, ho ricevuto l’incarico di programmare con te i test microbiologici ambientali nel nuovo ospedale>>. Capii subito che quella non era stata una telefonata qualsiasi, come spesso accadeva, quando c’era un intervento da effettuare da parte mia in una qualsiasi sala operatoria del vecchio ospedale. Lo capii così immediatamente che andai su tutte le furie, naturalmente la povera e brava caposala non aveva alcuna colpa. Rimasi così stupito che la direzione sanitaria non avesse colto il giusto risalto da conferire ad un’operazione assai importante, che mai sin allora era stata effettuata.  Per farla breve, il giorno dopo io, il prof. Antonio Toniolo e il direttore sanitario dott. Andrea Larghi ci ritrovammo, vis a vis, nei vasti ambienti del nuovo Quartiere Operatorio e decidere insieme cosa fare.

Già il giorno dopo diedi inizio ad un’operazione a dir poco ciclopica. Ricordo di essermi inabissato nel punto più basso del nuovo ospedale, al piano -2, dove trovava ubicazione il nuovo grande quartiere operatorio, composto da n. 20 sale operatorie (a quel tempo il secondo più grande in Italia). Con l’aiuto di tamponi sterili, ma soprattutto con una speciale apparecchiatura effettuai numerosissimi prelievi su tutti i letti operatori, sulle grandi lampade scialitiche, sui quadri elettrici, sulle apparecchiature presenti, ecc., ecc. Tutto ciò in ogni singola sala operatoria. Passai ore ed ore in solitudine, in aree sterminate interrate e già immaginavo quanti pazienti futuri sarebbero passati su ognuno di quei nuovissimi letti operatori.

I giorni a seguire, da quel piano sotterraneo, emersi per completare ogni piano di quella nuova struttura ospedaliera, sino a raggiungere quello apicale, il 7° ed ultimo, realizzando interventi perciò su un totale complessivo di n. 9 livelli. Un lavoro interminabile, come dicevo prima, ciclopico, certamente impensabile all’inizio, un lavoro che fui costretto a ripetere più volte, a causa di una elevatissima carica batterica (da guerra batteriologica), guarda caso, di Legionella pneumophila, riscontrata in tutta la rete idrica (rimasta per mesi praticamente inutilizzata, quindi con conseguente pericoloso ristagno di acqua).

A quel tempo, nel mese di Giugno 2007, ci sarebbero state le elezioni comunali e provinciali, ragion per cui la “Regione Lombardia” e soprattutto i partiti più direttamente interessati si spesero, insieme alla direzione sanitaria e generale dell’Azienda, in una malcelata pressione, al fine di far terminare i lavori prima possibile e consentire, attraverso una immancabile e strombazzata inaugurazione (molto cara ad ogni latitudine alla classe politica italiana), la presentazione della nuova grande struttura ospedaliera di Varese, come un gran fiore all’occhiello da mostrare orgogliosamente ai propri elettori.

Ricordo assai bene le tensioni, in seno ed al di fuori dell’azienda, tra gli opposti partiti politici, per via degli allungamenti di tempo non previsti, dovuti al moltiplicarsi inaspettato dei controlli microbiologici che mi avevano visto schierato in prima linea, insieme al gruppo di alcuni ricercatori dell’Università dell’Insubria, guidati dal Prof. Antonio Toniolo, direttore della Microbiologia e Genetica di cui facevo parte. Alla fine di un lavoro, davvero straordinario, seguì una massiccia bonifica ambientale di tutta la nuova struttura ospedaliera, coordinata dalla direzione dell’Ufficio Tecnico della stessa azienda. E i Media?, fecero la loro parte, come al solito un gran rumore, a tal punto che si rese necessario un intervento da parte dei NAS (Nuclei Antisofisticazioni e Sanità dell’Arma - Carabinieri).

Sia pure in “zona Cesarini”, le operazioni dei controlli microbiologici e le operazioni di bonifica ambientali cessarono in tempo utile e le attività di trasloco cominciarono ad essere messe in atto, unità operative una dopo l’altra. Contestualmente ebbe inizio così il progressivo abbandono di buona parte di alcuni vecchi padiglioni, che avevano ospitato sino a quel momento non poche unità operative e servizi ospedalieri. Terminata questa grande operazione logistica, fu reso finalmente possibile l’avvio delle attività nella nuova grande struttura. Tutto ciò giusto poco prima che io entrassi in regime di quiescenza.

Un bel finale anche per me, peccato però che l’allungamento della tempistica dei controlli ambientali e della relativa bonifica finale abbiano di fatto impedito di portare a termine un progetto, che mi stava molto a cuore e per il quale avevo già incassato il nulla osta dalla Direzione Generale, ovvero un importante intervento di recupero di alcuni affreschi all’interno della Villa Tamagno (appartenuta al grande tenore, nato a Torino nel 1850 e morto a Varese nel 1905), ancora oggi sede della Direzione Generale dell’Azienda Ospedaliero Universitaria - Ospedale di Circolo di Varese. A quel tempo, per questo progetto ero riuscito ad ottenere una importante sponsorizzazione, che avrebbe permesso di effettuare il recupero degli affreschi, senza l’esborso di denaro pubblico, passando attraverso un mio preliminare intervento di tipo microbiologico. Una nuova innovativa esperienza purtroppo andata a vanificarsi, a causa di forza maggiore, per impedimenti cioè dovuti a eventi assolutamente imprevedibili, come lo erano stati i ripetuti prelievi ambientali, nei complessivi 9 livelli della nuova struttura ospedaliera.

Trovo oltremodo gratificante aver narrato alcune mie esperienze lavorative, sia pure non entrando nei particolari tecnici, per far conoscere alcuni eventi legati alla diffusione di batteri negli ambienti sanitari, in un momento particolarissimo della nostra vita,  messa in severa discussione dal propagarsi della pandemia Covid - 19, sostenuta da Coronavirus - 2 (SARS- CoV – 2), che tante vittime si porta dietro, dopo ben più di un durissimo semestre, vissuto nella paura per il forte rischio di contagio, se non in momenti di vero diffuso terrore.

Sono sincero, tutta questa narrazione in altri momenti non l’avrei fatta, ed è per la viva speranza che possa servire alla conoscenza, sia pure per grandi linee, della Legionella pneumophila, un batterio di cui dobbiamo aver rispetto, senza però farci prendere dal timore ossessivo che un giorno o l’altro possa farci del male. Il Coronavirus – 2, lasciatemelo dire, è una brutta bestia, la Legionella è altro, non può essa diffondersi tra la gente allo stesso modo in cui sta facendo quel maledetto virus. Insomma attenzione, attenzione al nostro stile di vita, al modo sempre più consapevole di affrontare ogni evento di tipo sanitario, leggendo, studiando, cercando le fonti di informazione credibili, tra le istituzioni scientifiche universalmente riconosciute, tutte cose cioè indispensabili per abbattere definitivamente quel retaggio di  modus vivendi del passato, spesso volte pregno di non cultura, che non ha più senso di esistere. 

Prima di concludere, mi piace ricordare che siamo circondati da una infinità di microrganismi, molto spesso buoni ed utili all’uomo (lo stesso nostro organismo ne ospita miliardi) ed alcune volte potenzialmente patogeni. Per quel che riguarda la Legionella è bene ricordare che è un batterio che vive negli ambienti umidi, ad esempio impianti idrici, tubature, serbatoi dove si moltiplica, è bene tenere sempre in mente, in condizioni di stagnazione, con temperature comprese tra 20 e 45°C.

Per finire, sento il dovere ma anche il piacere di rivolgere ancora una volta, sentitissimi ringraziamenti ai Blogger cegliesi per la loro appassionata opera di informazione, a favore della comunità di Ceglie Messapica e non solo. Naturalmente, rivolgo  pure un ringraziamento sincero a coloro i quali avranno avuto la bontà di dare lettura al mio racconto ed un cordiale saluto a tutti i miei concittadini di nascita.

Varese,  11 settembre 2020

Vito Elia