Ricevo e pubblico volentieri
A proposito di Xilella fastidiosa e DINTORNI
Premetto di non essere né agronomo, né esperto di
fitopatologia, né di entomologia, né catastrofista e né tantomeno nutro alcuna
pretesa di fare scuola a nessuno. Vorrei invece approfittare della mia
esperienza maturata in tanti anni di professione ospedaliera, per sviluppare un
discorso circa la microbiologia degli ambienti ospedalieri che, a mio modesto
parere, seppur molto diversi per dimensioni e per caratteristiche generali,
presentano non poche analogie con l’ambiente agricolo in cui vanno
diffondendosi pericolose infestazioni a carico di specie fungine non ben
identificate e soprattutto di Xilella fastidiosa, nella speranza che il mio
piccolo contributo sia messo a disposizione del dibattito in corso, sul batterio
(E DINTORNI) che tante preoccapazioni sta spargendo tra gli agricoltori,
tra gli agronomi, tra i fitopatologi e studiosi vari e tra tutti i semplici
cittadini che hanno a cuore i territori, le numerose colture e la cultura
stessa della nostra amata Puglia.
Fatta questa breve premessa, vorrei parlare di ciò che
avviene in ambiente ospedaliero, ma soprattutto in alcuni ambienti in
particolare, sto parlando ad esempio dei Centri di Terapia Intensiva (ma non
solo), dove normalmente vi albergano pazienti le cui funzioni vitali appaiono
quasi sempre gravemente compromesse, tanto da restare attaccati alle
apparecchiature elettromedicali, spesso per mesi, quando non per anni interi. I
medici ospedalieri sanno bene il rischio che questi pazienti corrono, e sanno
bene che una buona percentuale di essi è destinata ad andare incontro a morte
sicura, conseguente cioè a infezioni contratte stando nel letto ospedaliero. Le
infezioni ospedaliere, lo ricordo, sono tra le peggiori che ci siano e sono a
carico di agenti infettanti, quali batteri (per comodità utilizzo solo questo termine),
che hanno una particolarità, sono batteri cioè che hanno acquisito una
resistenza più o meno marcata verso gli antibiotici, chiamata anche antibiotico-resistenza acquisita. Non
poche volte, durante la mia professione, mi sono trovato di fronte a casi
drammatici, in cui cioè non si riusciva a trovare un antibiotico, che fosse
solo uno, a cui affidare le residue possibilità di combattere una infezione a
carico di un batterio, divenuto nel tempo multiresistente (verso una batteria
di antibiotici), nell’estremo tentativo di salvare la vita al malcapitato
paziente di turno.
Il lettore deve sapere (mi rivolgo agli agricoltori e alla
gente comune, soprattutto) che normalmente i batteri che sono presenti tra la
popolazione (nei vari siti corporei, e in tutti gli ambienti domestici e non),
che generalmente gode di un buono stato di salute, presentano una resistenza agli antibiotici (altrimenti
chiamata antibiotico-resistenza) che
generalmente è molto inferiore, detta così grossolanamente, a quella presentata
dai batteri presenti negli ambienti ospedalieri. A cosa è dovuta questa
differenza? È la lecita domanda a cui ora cercherò di rispondere. E’ stato
detto più volte, ma lo ripetiamo ancora in questa sede e cioè
l’antibiotico-resistenza acquisita (quella dei batteri ospedalieri), che
continua a terrorizzare sempre più il mondo della sanità, è dovuta a continue
esposizioni dei batteri da parte degli antibiotici utilizzati in sede di
antibioticoterapia, spesso per necessità di salvare una vita umana, ma non meno
spesso è dovuta all’utilizzo improprio che se ne fa degli stessi antibiotici.
Questo è quanto avviene in linea teorica ed in generale, ma per comprendere
meglio ciò che avviene nella pratica, dobbiamo ritornare in quei reparti
ospedalieri, dove la somministrazione di antibiotici non conosce sosta ed è
pratica durevole, come detto sopra anche mesi, quando non addirittura anni per
uno stesso paziente. E’ proprio in questo reale continuo bombardamento verso i
batteri mediante antibiotici che è insita la nostra risposta e cioè i batteri
tendono per natura a difendersi dagli “attacchi” perpetrati dagli antibiotici,
sviluppando, giorno dopo giorno, una resistenza crescente verso essi (si parla
perciò di resistenza acquisita, cioè che
i batteri prima non avevano), che non poche volte finisce per diventare
pressocchè assoluta. In casi come questi l’antibiotico perde, drammaticamente
per noi, la sua funzione di combattere il patogeno, risultando cioè inutilizzabile
in sede di antibioticoterapia, come dire i sanitari perdono l’arma in loro
possesso per risolvere positivamente una data infezione, che a quel punto può
dimostrarsi letale verso il malcapitato paziente. Ed è proprio per questa
ragione che l’OMS (Organizzazione Mondiale Sanità) si è preoccupata già da tempo di intraprendere
un’opera di sensibilizzazione verso i responsabili della sanità delle varie
nazioni, e quindi verso l’opinione pubblica, al fine di scoraggiare un
improprio utilizzo degli antibiotici, così come purtroppo sta avvenendo già da
tempo in occidente, cosa che potrebbe portare un giorno non molto lontano dai
nostri ad una mancata e generalizzata disponibilità di antibiotici da
utilizzare in futuro, per combattere le infezioni verso l’uomo delle
generazioni che verranno.
Vito Elia