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Na strende m'agghje 'ndise atturne o core / de fueche. Na u fa cchjù, ca pozze more. Da “Nu viecchju diarie d'amore” di Pietro Gatti

domenica 2 novembre 2008

2 novembre

Siamo soliti dire che l’ora della nostra morte è incerta; ma, quando lo diciamo, rappresentiamo quell'ora in uno spazio vago e lontano, non pensia­mo che abbia qualcosa a che vedere con la giornata che stiamo vivendo e possa significare che la morte - o il suo primo parziale impossessarsi di noi, dopo il quale non ci lascerà mai più – potrà verificarsi in questo stesso, e così poco incerto, pomeriggio, il cui impiego abbiamo preventivamente programmato ora per ora. Teniamo alla nostra passeggiata per accumulare, in un mese, la ne­cessaria quantità d'aria buona; abbiamo esitato sulla scelta del cappotto da in­dossare, del cocchiere da far venire; siamo in carrozza, la giornata si stende davanti a noi, breve perché vogliamo rincasare in tempo per ricevere un’amica; ci piacerebbe che il tempo, domani, fosse altrettanto bello; e non sospettiamo che la morte, che camminava dentro di noi su un altro piano, avvolta in un'oscurità impenetrabile, ha scelto proprio questo giorno per entrare in sce­na, tra pochi minuti, più o meno nell'istante in cui la vettura arriverà agli Champs-Elysées.

I Guermantes, Marcel Proust