Parole in disuso
U canicchiul'
int' a canecchia.
Ce iet'?
Na strende m'agghje 'ndise atturne o core
de fueche. Na u fa cchjù, ca pozze more.
Da “Nu viecchju diarie d’amore” di Pietro Gatti
Le parole di Pietro Gatti sono le più adatte per descrivere quello che ho provato quando ho percorso le vie del centro storico.Si parla tanto di turismo, ma mi chiedo: è questo che dobbiamo far vedere ai turisti le erbacce e i muri scrostati o senza imbiancatura? Posso capire la difficoltà di estirpare le erbacce in punti particolarmente alti ma nelle strade e nei punti più bassi è una cosa più semplice.Non sarebbe il caso di anticipare e farla rispettare quella famosa ordinanza sindacale che impone di estirpare le erbacce e di imbiancare le case? Viste le condizioni in cui si trova il centro storico ha senso andare in giro in Italia e all'estero per fare pubblicità a Ceglie?Pubblicità ingannevole.
Ahi Ceglie...quant' val' na cas' pulit' e aggarbat'!
What is it ?
Qu'est-ce que c'est ?
Was ist das ?
¿ Qué es esto?
La cosa, insieme ad altre della sua specie,continua la visita del nostro centro storico.
Seguirà in esclusiva per Ahi Ceglie... un' intervista.
(Abbiate pazienza devo montare il servizio ).
What is it ?
Qu'est-ce que c'est ?
Was ist das ?
¿ Qué es esto?
La cosa, insieme ad altre della sua specie, sta visitando i nostri monumenti:il castello,le chiese e i palazzi o più modestamente le case.Seguiranno altre foto della visita e alla fine in esclusiva per Ahi Ceglie... intervista.
What is it ?
Qu'est-ce que c'est ?
Was ist das ?
¿ Qué es esto?
Prossimamente in questo blog.
Scusate le traduzioni.
20 maggio 20.45
Mancano anche dati di prima mano sulle modalità di funzionamento delle niviere a Locorotondo. Si dovrà, pertanto, far riferimento ai risultati dell'indagine compiuta da Francesco Lemma, anche perchè essa si basa sull'analisi di carte della seconda metà dell'Ottocento, relative, appunto, al funzionamento di una niviera in Altamura.
Innanzitutto c'è da dire che occorrono dei fasci di sarmenti da collocare sul pavimento della niviera, in modo da costituire un'intercapedine tra il pavimento e la neve. Il numero dei fasci di sarmenti occorsi ad Altamura nel 1860, per il funzionamento della niviera presa in esame da Francesco Lemma, è molto alto: si parla di 400 fasci. Il che fa pensare che lo strato da costruire sul pavimento dovrà essere molto consistente. La ragione, forse, è da ricercare nella necessità di separare la neve (ma per la verità si dovrebbe parlare di ghiaccio) dall'acqua che, sia pure in piccola quantità, si forma a seguito del continuo (anche se lento) sciogliersi della stessa neve. L'acqua, cioè, deve poter sperdersi tra la massa dei sarmenti, per poi confluire, tramite opportune canalizzazioni, in vasche appositamente costruite, o, addirittura, infiltrarsi nel terreno.
Anche sulle modalità di raccolta della neve Francesco Lemma fornisce delle informazioni. Questi scrive che la neve viene portata alla niviera o con vaiardi (una specie di portantina a quattro mani) o con i traini (il che presuppone che la neve è raccolta in posti anche abbastanza lontani dalla stessa niviera).
Non esclude, però, un altro sistema: siccome le niviere sono costruite per la maggior parte nelle vallate, si formano sulle cime dei poggi circostanti delle grosse palle di neve, che poi si fanno rotolare lungo i pendii e naturalmente ingrossare durante il cammino. Una volta portata alla niviera, poi, la neve viene posta a strati successivi sul graticcio di sarmenti e compressa da operai, che si servono per la battitura di pale e, per utilizzare i termini proposti da Francesco Lemma, di mazzacche o di maglioccole. È in questo momento che la neve diviene progressivamente ghiaccio.
Ed è chiaro che, nel momento della raccolta, si ha cura di evitare che alla neve si mescolino corpi estranei: tali corpi, oltre a provocare un deprezzamento della qualità, potrebbero accelerare i tempi della liquefazione. In ogni caso, la neve non potrebbe essere definita, nel momento della vendita, neve da bicchiere: espressione, quest’ ultima, che rende in modo plastico il senso della nettezza e della genuinità".
Dopo l'operazione di battitura (e della conseguente trasformazione della neve in ghiaccio) la niviera viene chiusa, in attesa del gran caldo. È nei mesi torridi, infatti, che la niviera rientra in funzione. Un operaio specializzato è addetto a tagliare il ghiaccio in pezzi regolari (quasi sempre, in Altamura, del peso di circa quattro quintali e mezzo), i quali, avvolti prima in paglia (che dev'essere di buona qualità e, soprattutto, molto fine) e poi in teli, vengono caricati su traini e avviati al consumo. E in questo momento che si tiene conto dello sfrido, calcolato intorno al dieci per cento del peso totale.
C'è da notare che si ha notizia di appaltatori della vendita della neve. Nell'Archivio Comunale di Noci, per esempio, di tali contratti di appalto si conservano due esemplari. Essi risalgono rispettivamente al 1911 e al 1912: il primo appalto viene concesso a un tale Giovanni Fazio; il secondo riguarda Giuseppe Bellacosa. Tutti e due si impegnano a vendere neve pulita di qualità buona da bicchiere; accettano la clausola del contratto secondo la quale lo spaccio dovrà essere aperto ogni giorno dall'alba alla mezzanotte e dovrà essere fornito di quantità sufficiente per i bisogni del paese; dichiarano che, mancando la neve per oltre due ore, e trovandosi chiuso l'esercizio entro l'orario sopra stabilito, si impegnano a pagare una multa di lire cinque per ogni ora".
A che cosa possa servire il ghiaccio è intuibile. Di certo il ghiaccio viene utilizzato per essere sorbito come granita o come gramolata, dopo essere stato mescolato con sciroppi o, al limite, con vincotto.
In una carta dell'Archivio Comunale di Noci, risalente al 1867, si legge, però, che il ghiaccio dovrà servire per gli infermi del paese. Ed è, quest'ultima, un'annotazione significativa: non si tratta solo di rallegrare le feste o, comunque, di soddisfare la gola; si tenta anche, attraverso il ghiaccio, di alleviare le sofferenze.
Anche nell'Archivio Storico del Comune di Locorotondo si conservano diversi contratti di appalto della neve, tutti risalenti ai primi anni del Novecento. Per completezza di informazione se ne riporta uno, sottoscritto il 10 agosto 1914:
Con la presente scritta privata si sono costituiti il sig. cav. Mitrano rag. Antonio sindaco, rappresentante questa amministrazione comunale, ed il sig. Recchia Filippo di Giuseppe Antonio, nonchè i testimoni Palmisano Angelo di Michele e Perrini Giuseppe fu Buonaventura. I suddetti individui sono tutti nati e domiciliati in Locorotondo. In esecuzione del deliberato di questa giunta comunale in data 15 del mese di giugno p.p. con il quale deliberato si determina darsi in appalto la vendita della neve offrendosi un premio di lire cinquanta al miglior offerente. Essendosi presentato il solo Recchia Filippo di Giuseppe Antonio alla gara dell'appalto del ghiaccio e della neve, a trattative private, con tutte le formalità di legge, si ebbe il seguente risultato, cioè che l'offerta migliore per la vendita della neve è stata di centesimi quindici al chilo. Sicché resta appaltatore il sig. Recchia Filippo come unico e migliore offerente. Il detto individuo si sottomette alle seguenti condizioni:
1 ° - Accordarsi un premio di lire cinquanta a colui che venderà la neve in questa stagione estiva alle migliori condizioni e con la durata dal 20 giugno al 15 settembre p.v., prelevandosi detta somma dal relativo fondo, aprendosi le aste a trattative private previo bando eseguito dal banditore comunale.
2 ° - La neve deve vendersi stilla base di centesími 15 al chilo.
3 ° - L'aggiudicatario deve alzarsi di notte per la vendita della neve o del ghiaccio in caso di bisogno.
4 °- La predetta neve deve essere consumata dai compratori in Locorotondo e suo agro; se fosse destinata ad esportazione il venditore può rifiutarsi a venderla o può chiedere quel prezzo che meglio crede.
5° - L'appaltatore è obbligato a fornire i caffettieri di detta neve o ghiaccio all'istesso prezzo, una quantità non superiore a 25 chili previo avviso all'appaltatore di 24 ore prima.
6 ° - La neve o il ghiaccio devono essere di qualítà buona, pulita e senza corpi estranei.
7 ° - Per ogni infrazione ai presenti patti l'appaltatore si sottomette ad una multa da infliggersi dalla giunta comunale in misura non inferiore ad una lira per volta: dette multe saranno scalcolate dalle suddette lire cinquanta a fine di esercizio nel rilasciarsi il relativo mandato.
8 ° - L'esercizio si deve tenere aperto dalle 6 a.m. alle ore 11 p.m.
9° - Le spese occorrenti restano a carico del comune.
Si è redatta la presente scrittura privata che viene firmata come per legge.
Locorotondo, 10 agosto 1914
Un cavaliere è in viaggio per prendere possesso del feudo di Aurocastro nelle Puglie quando viene assalito dai banditi che lo depredano e lo buttano in un fosso. Abacuc, un ebreo della banda degli assalitori, trova nel suo bagaglio una pergamena che attesta il diritto all'investitura del feudo. Pensa di usarla, e convince 1'amico Brancaleone da Norcia, un fanfarone in cerca di gloria militare e di appetitose donzelle, a sostituirsi al cavaliere e a dividere con loro i frutti dell'impresa. Brancaleone non si lascia scappare l'occasione e al ritmo delle strofette del `prode Anselmo' di Visconti Venosta si mette in viaggio al comando dei briganti. Ma la via e lunga e pericolosa.Scampato alla peste e alle voglie di una vedova impaziente, Brancaleone si unisce a un monaco che va in Terrasanta, ma presto lo abbandona per dedicarsi al salvataggio di una verginella dai briganti e riportarla intatta allo sposo. Assolta malamente la missione, sempre a rischio della pelle, altre peripezie sopravvengono ad assottigliare la masnada. Dopo una breve sosta presso la dissoluta famiglia bizantina di Teofilatto, l'armata arriva finalmente in Puglia, ma ad aspettarli ci sono i pirati saraceni. A salvarli dalla cattiva sorte sopraggiungono alcuni pellegrini cristiani guidati dal cavaliere che era stato aggredito dalla banda. A Brancaleone e ai suoi non resta che partire per una Crociata in Palestina.
8 maggio 10.39
Foto: http://piazzaplebiscito.splinder.com/?from=30
Foto www.cicloamici.it
Madonna della grotta un monumento da salvare
LUIGI EMILIO RICCI
Nell'anno 1597, precisamente il giorno 20 del mese di luglio, il procuratore generale del Capitolo di Ceglie, don Paladino Nisio, stipula una convenzione con il maestro muratore Vito Nughele per la costruzione di quattro cappelle nella chiesa di Santa Maria della Gotta.
Le cappelle dovevano essere allestite, in numero di due per parte, lungo le pareti della chiesa, iniziando dal muro in cui si apriva la porta maggiore ed essere completate da due arcate misuranti palmi 16 ciascuna.
La stipula della convenzione da parte del Nisio (o Nisi). poteva essere sottoscritta a pieno titolo. Infatti, ormai dal 19 aprile del 1570, pochi mesi prima della sua dipartita, monsignor Giovanni Carlo Bovio, di famiglia bolognese ma brindisino di nascita (era nato nella città il 5 gennaio 1522), arcivescovo di Brindisi e di Oria dal 1564 al 1570, aveva assegnato il possesso dei fabbricati masserizi e della chiesa Sancte Marie de Gripta una cum eius fructihus iuribus et emolumenti integro ac pleno jure imperpetuum pertineat ad dictam vestram capitularem massam... al Capitolo di Ceglie. Pertanto il Capitolo poteva totalmente disporne per incrementare il culto della Vergine ed impiegare i frutti dei terreni annessi alla chiesa, non soltanto per le necessità dell'importante santuario mariano, ma anche per i bisogni dell'intero clero di Ceglie.
La chiesa fu meta di pellegrinaggi. Sull'affresco che rappresenta S. Antonio Abate, sul pilastro sinistro al lato dell'abside, vi sono vari graffiti di pellegrini; in uno si legge: aprele 1473 fuit processio... Si andava in primavera a S. Maria della Grotta dai vari centri vicini.
L'edificio sacro e i padiglioni masserizi si presentano, a chi proviene da Ceglie, quasi all'improvviso, a circa sei chilometri dalla città dopo aver percorso una stretta, tortuosa vicinale, di recente asfai tata, che conduce a Francavilla Fontana.
Le pareti della chiesa sono alte e snelle, rese preziose dal bugnato antico, interrotte soltanto dal vecchio portale e dall'ampio rosone, del quale rimane la ghiera esterna e nessun elemento della raggiera; esili monofore filtrano all'interno, discrete, la luce dei giorno La facciata, a bugne rustiche e monocuspidata, termina anch'essa (come per la chiesa dell'Annunziata, nella zona storica di Ceglie) con un campanile a vela ad un fornice cui ne fu aggiunto, in tempi posteriori, un altro che non riesce, comunque, ad appensantire la leggera eleganza dell'intera struttura.
È probabile che il fornice più basso sia stato realizzato mentre si eseguivano i lavori delle cappelle nell'aula lunga e stretta della chiesa, facendo perdere così all'assieme quell'equilibrio estetico programmato dal costruttore. Tuttavia non è possibile affermarlo con sicurezza, perché mancano documenti in proposito. È noto però il nome del progettista del sacro edificio, il quale appose la propria firma sulla facciata, appena a destra rispetto all'asse, sotto il rosone. Qui, su un concio di pietra calcarea, una scritta su tre righi, a caratteri gotici abbreviati, recita in latino: Hoc opus aedificavit magister muratoribus Dominicus de Juliano.
Chi fosse questo magister si ignora totalmente. Si possono, tuttavia, avanzare delle ipotesi abbastanza probanti. Si pensa che egli abbia lavorato abbondantemente e con un certo pro fitto in tutta l'area della regione. Dalla sua scuola deve provenire il discusso Domenico di Martino o Martana che nel XIV secolo costruì la chiesa matrice di Grottaglie, varie volte restaurata, ove si ritrovano elementi comuni alla chiesa di Santa Maria della Grotta di Ceglie come le colonnine ottagonali (che sorreggono l'arco ogivale del protiro) ed altri elementi del portale che accusano un 'indiscussa parentela con quelli del portale maggiore della Basilica di San Nicola di Bari.
L'interno, largo 6 metri e lungo (dalla porta d'ingresso fino all'arco di trionfo, che divide l'aula vera e propria dal vano absidale) 22 metri, era, senza dubbio alcuno, completamente affrescato. Oggi i muri sono scrostati e spogli sebbene ancora, qua e là, qualche superstite scampolo d'intonaco ci documenta su di un passato pregno di arte e di devozione.
Il tetto, anche se in parte crollato, risulta formato da un doppio spiovente embricato, dalle lontane reminiscenze gotiche.
La presenza, infine, della pavimentazione nettamente sottoposta alla soglia dell'ingresso rappresenta un elemento architettonico tipico delle chiese a carattere ipogeico, che trova riscontro nell'area jonico-salentina, in special modo nella cattedrale di Otranto e nell'Assunta di Castellaneta, accortamente restaurata agli inizi degli anni Settanta.
Appena varcato lo splendido portale con all'interno degli affreschi ed una gradinata, si accede attraverso un'altra scalinata nel primo ambiente adattato a cripta nel quale si fondono l'arcano ed il mistico. Infatti le stalattiti e le stalagmiti fanno da stupenda cornice agli altari, i piani e le scalinate interne della chiesa sotterranea. La cavità prosegue per altri36 metri circa tra stretti e bassi passaggi a gallerie riccamente concrezionate.
In una nicchia, nella quale è ricavata una cappella di taglio rinascimentale, da un altare litico ormai sbrecciato, occhieggia, di già sbiadito, l'affresco della Vergine col Bambino da cui deriva il titolo alla chiesa ed il toponimo alla contrada. Lo spettacolo è penoso. Rifiuti e immondizie si accumulano da sempre e dove un tempo, per il tramite della Madre del Cristo, si invocava la protezione divina, regnano prepotenti la desolazione irrimediabile e la rovina.
Affiancano la chiesa un minuscolo portico dotato di alcuni anelli di pietra calcarea, forse un tempo usati per agganciarvi i finimenti o allacciarvi le redini dei cavalli dei pellegrini ed un vasto corpo masserizie dal tetto a spioventi embricati. Si pensa possa essere stato, in origine, la sede di una comunità di monaci italo-greci, qui rifugiatisi a salvamento in seguito alle persecuzioni iconoclastiche scatenate dall'imperatore d'Oriente, Leone III l’Isaurico. nell'VIII secolo.
Anche se gli elementi architettonici degli edifici sono certamente più recenti, di rozza fattura e giustapposti gli uni agli altri, risultato di modifiche strutturali apportate per l'adattamento del complesso alla diversa funzione, è ancora chiaramente individuabile l'impianto a chiostro.
I numerosi locali risultano attualmente destinati ad abitazioni di contadini, che coltivano i campi dell'azienda agricola chiamata appunto dal nome della contrada masseria Madonna della Grotta.
Ancora nell'anno 1730, al tempo in cui venne redattala Platea dei beni del Capitolo, la masseria era parte della Collegiata e Insigne Chiesa della Terra di Ceglie. Essa chiesa - enumera l'anonimo compilatore della Platea -possiede una massaria volgarmente detta della Beatiss-ma Vergine della Grotta, consistente in tumola cinquanta di terre serrate, e trecento di terre aperte, con arbori trenta circa di olive, dentro una chiusura delle medesime, oltre altri innesti, le quali non ancora producono frutto; può fruttare da fertile, ed infertile per ciaschedun' anno docati cinquanta, confinando detta Massaria da levante con un 'altra Massaria di questo Reverendo Capitulo detta di Donna Antonia Christofero, li beni de R.R.P.P. Scholepie di Francovilla da Tramontana, da Ponente li... altra Massaria di detto Capitulo chiamata Le Cruci, frutta, e può fruttare l'anno dico50.
Attualmente l'azienda è di proprietà di privati e non risulta, con certezza, quando sia stata alienata dal Capitolo di Coglie. Ne si può affermare se e quando essa sia stata espropriata in seguito ad una delle tante leggi eversive che, dal tempo di Carlo di Borbone e del suo ministro Bernardo Tanucci, via via fino ai regni di Gioacchino Murat e di Vittorio Emanuele II di Savoia, privarono la chiesa di buona parte del suo patrimonio.
Un dato è, comunque, certo: la masseria sopravvive assai precariamente, come tante altre aziende dell'agro di Ceglie che non hanno saputo essere al passo con i tempi e si sono rivelate incapaci di riconvertire la produzione sì da renderla maggiormente competitiva e più economicamente redditizia.
L'antica chiesa-basilica, in cui a malapena è possibile leggere superstiti affreschi dai vaghi moduli bizantineggianti che la impreziosivano, è paurosamente degradata per essere stata destinata, per lunghi anni, a stalla. E’, ormai, il melanconico relitto di un passato glorioso, che sopravvive a se stessa ed e visitata soltanto da qualche sporadico studioso che si avventura fin lì per esaminarla e ne commisera la triste fine.
Decisamente inutile, in questi anni. si è rivelato ogni intervento che da varie parti e in momenti diversi è stato posto in essere per tentare, almeno, un restauro conservativo dell'illustre monumento.
Gli organi preposti alla tutela del patrimonio architettonico di Puglia hanno sempre lamentato, pretestuosamente, la mancanza di fondi sufficienti, forse sperando che il vecchio tempio alfine crolli e, con buona pace di ciascuno, non se ne parli definitivamente più.
15 aprile 9.31
11 aprile 13.07
Il comune di S. Vito ha fatto un accordo con Enel accettando clausole assurde che impegneranno il Comune. Un esempio è quella che, nel caso alla data di inizio lavori non si arrivi ad un accordo diretto con i proprietari dei terreni interessati alla costituzione dell'impianto, prevede l'acquisizione tramite esproprio con tutti i relativi oneri a carico di Enel Produzione,bontà loro!
VERGOGNOSO.
In merito al dibattito sugli impianti eolici nella provincia di Brindisi alcuni cenni su due sigle che ricorrono frequentemente. La Direttiva Europea 2001/42/CE concerne "la valutazione degli effetti di determinati piani e programmi sull'ambiente naturale", in breve direttiva VAS. La Valutazione Ambientale Strategica V.A.S. si delinea come un processo sistematico inteso a valutare le conseguenze sul piano ambientale delle azioni proposte – politiche, piani o iniziative nell’ambito di programmi nazionali, regionali e locali- in modo che queste siano incluse e affrontate, alla pari delle considerazioni di ordine economico e sociale, fin dalle prime fasi (strategiche) del processo decisionale. In altre parole, la Valutazione Ambientale Strategica assolve al compito di verificare la coerenza delle proposte programmatiche e pianificatorie con gli obiettivi di sostenibilità, a differenza della VIA che si applica a singoli progetti di opere. L’elaborazione delle procedure individuate nella Direttiva 2001/42/CE rappresenta uno strumento di supporto sia per il proponente che per il decisore per la formazione degli indirizzi e delle scelte di pianificazione fornendo opzioni alternative rispetto al raggiungimento di un obiettivo mediante la determinazione dei possibili impatti delle azioni prospettate. La Valutazione d'impatto ambientale (VIA) individua, descrive e valuta gli effetti diretti ed indiretti di un progetto e delle sue principali alternative, compresa l’alternativa zero, sull’uomo, sulla fauna, sulla flora, sul suolo, sulle acque di superficie e sotterranee, sull’aria, sul clima, sul paesaggio e sull’interazione fra detti fattori, nonché sui beni materiali e sul patrimonio culturale, sociale ed ambientale e valuta inoltre le condizioni per la realizzazione e l’esercizio delle opere e degli impianti. La disciplina si basa sul principio dell'azione preventiva, in base alla quale la migliore politica consiste nell'evitare fin dall'inizio l'inquinamento e le altre perturbazioni anziché combatterne successivamente gli effetti. La Direttiva VIA prevede, nel caso dei progetti sottoposti a valutazione, che gli Stati membri adottino le misure necessarie per garantire che il committente fornisca, nella forma opportuna, le seguenti informazioni: -una descrizione delle caratteristiche fisiche dell'insieme del progetto, delle esigenze di utilizzazione del suolo durante le fasi di costruzione e di funzionamento e delle principali caratteristiche dei processi produttivi; -una valutazione del tipo e della quantità dei residui e delle emissioni previsti (inquinamento dell'acqua, dell'aria e del suolo, rumore, vibrazione, luce, calore, radiazione, ecc.), risultanti dall'attività del progetto proposto. -una descrizione sommaria delle principali alternative prese in esame dal committente, con indicazione delle principali ragioni della scelta, sotto il profilo dell'impatto ambientale. -una descrizione delle componenti dell'ambiente potenzialmente soggette ad un impatto importante del progetto proposto, con particolare riferimento alla popolazione, alla fauna e alla flora, al suolo, all'acqua, all'aria, ai fattori climatici, ai beni materiali, compreso il patrimonio architettonico e archeologico, al paesaggio e all'interazione tra questi vari fattori. -una descrizione dei probabili effetti rilevanti del progetto proposto sull'ambiente, delle misure previste per evitare, ridurre e se possibile compensare tali effetti negativi del progetto sull'ambiente. -un riassunto non tecnico delle informazioni trasmesse sulla base dei punti precedenti.
Fonte:http://www.apat.gov.it/site/it-IT/
03 aprile 17.19
Caratteristiche tecniche:
pali alti 44 m, diametro palo 3 m,ipotesi altezza masseria 11 m.
No all'eolico nella murgia brindisina.
19 febbraio 16.50