La data più probabile di composizione della commedia rimane quella ipotizzata dal Palumbo il 1730, "quando vissero alcuni uomini che vi sono nominati". Infatti, secondo il Palumbo, Nniccu Furcedda è ispirato caricaturalmente alla figura di un ricco e spilorcio signore, proprietario della "masseria di Fallacchia, nel tenimento di Francavilla", (oggi Villa Castelli) come recita l'esergo del manoscritto: un tal Giuseppe Scazzeri. Sulla natura satirica della farsa, tuttavia, c'è da avanzare qualche riserva perché il riferimento storico preciso può essere considerato tutt'al più un mero pretesto per lo svolgimento dell'azione e per l'accensione di una fantasia che trova in un genere letterario, oramai ben delineato e costituito, la sua più autentica ragione.
Ciò non vuol dire che la commedia non abbia un forte collegamento con la realtà della regione e, in particolare, della città nella quale essa è ambientata. Il dialetto fa riferimento a oggetti, costumi, riti propri della cultura antropologica salentina; la stessa geografia rappresenta un territorio caratterizzato da una agricoltura prettamente mediterranea, percorso dalle serre ("sierri", I, 50), costellato di paesi familiari alla sua storia: Ceglie ("Cegghiu", 111, 598), Oria (II, 367) e il suo protettore Sant'Eligio ("Sant'Aloi"), Veglie ("Vegghi", 111, 599). Forse anche i nomi dei personaggi che casualmente ricorrono nelle battute hanno dietro di sé vicende, mestieri, caratteristiche assai noti tra gli abitanti della città. E ciò al fine di dare agli spettatori punti di riferimento concreti e muovere quindi sentimenti di ilarità o, comunque, dì partecipazione: Cesare il sorciaio, (111, 8), Giuseppe Pozzessiri falegname (1, 387), Giuseppe Uerciu, lo scemo del villaggio (Il, 281), Giuseppe Vistila sarto (Il, 538), Uerra figulo (111, 448), ecc.. Insomma il radicamento nella vita e nella realtà agricola e pastorale del Salento è totale ed è del tutto omogeneo alla funzionalità del dialetto.
A questo punto occorre fare un cenno alla particolare forma metrica della commedia, che tutti gli editori hanno considerato scritta in endecasillabi variamente articolati secondo l'andamento delle battute dei protagonisti e dell'intreccio. Marti invece ha dimostrato che essa è scritta in quel particolare metro che porta il nome di "gliuommero", particolare forma metrica consistente nell'endecasillabo con rima al mezzo. Con il passare degli anni e col recupero di quelle forme d'espressione che sono l'opera buffa e la commedia popolare in prosa, l'indicazione di "gliuommero" non si ferma solo alla natura metrica del racconto, ma coinvolge anche la trama e la costruzione dell'intreccio scenico mediante il ricorso a situazioni ambigue, fraintendimenti verbali, scambi di persone, travestimenti di personaggi e così via dicendo. Siamo giustappunto al caso di Nniccu Furcedda. Questo "gliuommero", questo intrico di situazioni finisce con l'attenuare il realismo del racconto, che è tale soltanto per quanto attiene l'ambiente e il linguaggio, e con l'esaltare invece la capacità inventiva dell'autore, che si compiace nel creare scenari di artificio al solo fine di determinare il riso e il divertimento degli spettatori.
Liberamente tratto da: Donato Valli, Storia della poesia dialettale nel Salento, Congedo Editore, 2003.
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Na strende m'agghje 'ndise atturne o core / de fueche. Na u fa cchjù, ca pozze more. Da “Nu viecchju diarie d'amore” di Pietro Gatti
venerdì 12 dicembre 2008
Nniccu Furcedda 2/2
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