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Na strende m'agghje 'ndise atturne o core / de fueche. Na u fa cchjù, ca pozze more. Da “Nu viecchju diarie d'amore” di Pietro Gatti

mercoledì 17 luglio 2013

L'ULTIMA CORSA


Ricevo e pubblico volentieri "una sorta di diario con pensieri in libera uscita".
L'ULTIMA CORSA
Terza parte

CORRERE !
Non immagianava il perchè lo dovesse fare ma quello del medico più che un consiglio aveva la veste di un comando, un imperativo categorico che non poteva essere in alcun modo neanche discusso e non intendeva farlo pur con tutti i dubbi e le perplessità del caso e forse anche per via del fisico asciutto e malaticcio che certo non dava segni di fiducia su eventuali sforzi fuori dal suo quotidiano, dove il massimo impegno fisico era fare la fila al supeemercato o l' attesa stressante allo sportello dell'ospedale cittadino per la richiesta di una visita e nemmeno tanto urgente.
Tutto sommato, pensò Rocco, non sarà un impegno difficile da assolvere visto che tanti già lo fanno e se non corrono veloci camminano più spediti del solito in una specie di maratona senza il necessario movimento di ginocchia e tallone sincronizzati, Un passo accellerato che di certo non lo avrebbe messo in difficoltà nè sul respiro nè sulle gambe abituate comunque a camminare su e giu per  le salite e le discese del  paese.
Aveva notato anche che sia nella villa comunale che nelle strade perioferiche tanti usavano correre indossando tute di marca, scarpe adeguate per la corsa o quelle  da passeggio, comunemente dette da "ginnastica", un tipo di scarpa che lui comunque calzava da anni senza mai togliersele per un altro tipo perchè molto comode, e quindi non avrebbe dovuto comprarne un paio apposta per cominciare a correre o camminare. 
Magari pensò, visto che certemente si sarebbero consumate prima del tempo (anche per loro!) in estate le avrebbe alternate con un paio di mocassini in cuoio aperte tipo francescane e in inverno con un paio di suole buone per non bagnarsi i piedi. 
Si, di certo avrebbe fatto così e lo pensò guardandosi ripetutamente i piedi magari che gli rispondessero e approvassero le sue scelte. Provò un paio di volte un tacco e punta, accellerò diverse volte il passo scegliendo anche la salita che portava in piazza per sondarne lo sforzo, non visto eseguì un paio di accellerate a testa alta per respirare meglio e scoprì che il respiro del passo era molto diverso da quello della corsa. Che se camminava a testa bassa guardandosi i piedi respirava a fatica e mentre correva invece a testa con la fronte leggermente alzata riusciva ad avere ossigeno per spingersi oltre l'angolo, superarlo senza minimo sforzo nè fiatone ammazzarespiro. Di certo non avrebbe corso per le viuzze del paese dove oltre gli sguardi avrebbe avuto la zavorra di un percorso molto frammentato; non gli avrebbe nemmeno fatto piacere che qualcuno lo avesse additato come uno scimunito (gli venne in mente Giannino, una sorta di stallone urbano con tanto di nitrito in petto e un cervello da bambino che si metteva a correre appena varcato l'uscio di casa e si fermava  solo quando gli ofrrivano da bere o un gelato o una caramella e lui ringraziava nitrendo all'impazzata  e scalpitando con le scarpe grosse sul selciato...); solo se qualcuno gli avesse detto " corri proprio come un bambino" non si sarebbe offeso perchè di certo lo era  e di corse ne aveva fatto tra le viuzze del centro storico dove spesso per la velocità si colpiva qualche muro andando a sbattere contro un uscio scaranzato per arieggiare le alcove senza finestre.
Da bambino, ricordò, si correva per tutto: tanti tipi di gioco prevedano la corsa, la velocità d'esecuzione e poi la fuga per vicoli o per angoli, poi dietro ad un cerchione svuotato, ad una palla di plastica, ad un dispetto di un amico. Si correva senza risparmio di fiato, senza consapevolezza del tempo, prigionieri solo dell'alba e del tramonto quando si usciva di csa e poi il rientro la sera e in mezzo una pausa breve giusto per un piatto di pasta e per evitare sgrida e schiaffi alla nuca. Il tempo che passava non aveva un volto, un corpo da guardare e da toccare; passava accanto invisibile o ti attraversava lasciandoti come segno un ricordo, una corsa appena finita mentre lentamente si cresceva quasi senza accorgesene. C'erano poi le stagioni e le feste patronali, i frutti diversi e qualche volta la neve e poi i primi peli sul viso, i pantaloni che si allungavano, gli sguardi delle ragazze ad avvisare che il tempo stava trascorrendo in fretta e lo sentivi se solo ti fermavi un attimo a pensare guardandoti alle spalle. Anche il sigillo del primo bacio annunciava che dentro  e fuori, il tempo si prendeva la sua parte in maniera inesorabile e cercò un orologio da polso, il primo alla prima comunione, che lo rese prigioniero inconsapevole del meccanismo della vita, un conto alla rovescia senza sapere una data precisa per quando abbandonare.
continua
cicirielloangelo

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