.

Na strende m'agghje 'ndise atturne o core / de fueche. Na u fa cchjù, ca pozze more. Da “Nu viecchju diarie d'amore” di Pietro Gatti

venerdì 10 gennaio 2020

Un’avvincente silloge poetica...

VINCENZO GASPARRO
E IL SUO
“CARTESIO E’ ANDATO VIA”
Un’avvincente silloge poetica sulle menomazioni
alteranti la spiritualità dell’uomo

di Andrea Bonanno

Il recente libro di Vincenzo Gasparro dal titolo “Cartesio è andato via”, pubblicato nell’Agosto del 2019 da BookSprint Edizioni, si snoda in tre sezioni dal titolo Cartesio è andato via,Novecento e Crocifissione. La prima sezione accoglie delle liriche che offrono un serrato resoconto sull’attuale e tremenda inconsistenza che affligge l’esistenza civile, politica e morale dell’uomo e della medesima sussistenza della natura e dell’ambiente del pianeta Terra.
   La silloge segna una fase fondamentale della maturità dell’evoluzione poetica dell’Autore per la sua smagliante ed incisiva esuberanza del dire, su un tempo di un feroce squallore, evidenziandone la sua quasi totale erosione e anche la schisi dell’io associata dei valori etici dei padri rinnegati, evocati in tanti versi, insieme alla scomparsa di qualsiasi risposta di pietà.
   A livello filosofico sono invitati a salire sul banco degli imputati quei filosofi che si sono allontanati dai problemi dell’Essere, come Platone,Aristotele e anche Cartesio, con la loro svolta intellettualistica, secondo Michelstaedter e l’Heidegger, erigendo come propulsore del pensiero un astratto Cogito, che in realtà privava l’uomo della sua libertà e del suo destino, nel senso di poter  realizzare il suo vero essere, facendolo smarrire nel contempo nelle banali datità della contingenza della routine quotidiana.
   D’altra parte lo status attuale dell’alienazione dell’autentico è vistosamente degenerato oggi, presentando una virulenta allucinazione per l’imperversare della cosiddetta “morale liquida”, dominata da un individualismo aberrante rivolto unicamente al soddisfacimento di soggettivi interessi, che spinge ad ogni sorta di corruzione e violenza.
L’esaltazione dell’industrialismo e della tecnologia e il loro propagarsi ci hanno regalato delle disastrose catastrofi come Seveso e Cernobil, lo scarico dei veleni nei fiumi, le piogge acide, l’inquinamento dei mari con l’immissione della plastica etc.,sicché il decantato progresso si è tradotto in un progressivo pericolo di morte per l’uomo. Rivelando un razionalismo cieco dalle irrisolte contraddizioni interne e scacchi crescenti nei riguardi della natura e delle esigenze  etiche e civili dell’uomo per la noncuranza ed incompetenza pure dei politici nel non aver saputo dar vita a dei cittadini consapevoli e a dei governanti onesti e responsabili.   
 I versi dell’Autore scandagliano la sua anima per un resoconto denso di plurime e incisive commisurazioni su un tempo di maschere mortuarie e relitti fossili, nella ricognizione obiettiva delle urgenze intime dell’uomo e delle sue doloranti inquietudini, in cui aleggia l’ansia e lo squallore del Nulla nell’evidenziazione dell’inerzia dei nostri stanchi giorni, che non ci appartengono più.
   La poesia del Gasparro si presenta consistente nell’affrontare molteplici e difficili temi, che vanno da quelli dell’inesistenza e della in appartenenza (“nel vuoto è scomparsa la colpa/ ma rimane l’orrore di esserci,p.7), a quello della vita caotica della città con il suo traffico orribile( “Le strade della città eruttano caos razionale”, p.35); da quello della artificializzazione della natura (non sappiamo se siamo in tempo/ per riappacificarci con le zolle aride/ zuppe di sale e acide”,p.7), (La natura non è la prostituta/ che appaga tutti i nostri desideri. Greta ha presentato il conto/dell’artificializzazione del mondo” p.11); a quello dello scacco della ragione (“I concetti sono aleatori/ pieni di contraddizioni non c’è / più spazio per una chiara dimostrazione” p.19).
   Ma, ovviamente altri temi sono trattati come la persistenza cieca del dolore e della precarietà della vita che ci è rimasta ( “ci rimangono frammenti e tarli. Spot e chimere hanno corroso/antiche verità e trionfa il ritorno / a un amaro passato, affogati/ nelle vie di un consumo alienato”.p.16). Centrale e assillante è l’altro tema della ricerca della identità e, soprattutto della verità: “Nella linfa della vita cerco la verità/ il cervello si agita ma non trova l’inizio/ rimangono tracce, non s’intravede un ordine”.p.38 e gli altri riguardanti la solitudine, l’insicurezza e la paura: “Il timore è scritto sui muri lungo le strade. /Lo sguardo fissa al di là della siepe/ l’immagine della catastrofe annunciata/ nelle notti che corrono su corpi inanimati”,p.8.; “Le finestre s’affacciano sul gelo/ delle strade deserte e ombre/ dietro i vetri proiettano solitudine”, p.8.
   Ad un terreno secco e degradato, in cui miracolosamente si accende, in tutto il suo fulgore, il colore rosso di una rosa, può accadere di ritrovarci a contatto con i segni ed immagini di morte: “Il serpe fruscia tra l’erba/ e sull’albero penzolano le squame/ scheletri incastrati nel verde/ emblemi di una fine/ tra le parole smarrite dell’ignoto”, p.9.
   Sono molto centrali altri temi come quello della natura sconvolta: “Dalle tane le volpi escono di giorno/ rovistano tra i rifiuti per il cibo/ i gabbiani beccano plastica/ hanno abbandonato gli spazi del mare”,p.22, come quello dell’assenza del dialogo “Non provare neanche a voltarti/ sentiresti parole caotiche”,p.12, quando “Intorno c’è un silenzio senza le cose”, perché “Abbiamo rotto tutte le relazioni vitali”, p.16 o come l’altro dell’assenza della pietà: “sei destinato a soccombere senza pietà”, p.13; “nessuno ha pietà della bellezza/ delle donne che partoriscono la vita”, p.17.
   Suggestiva e toccante si rivela la lunga lirica di pagina 21 per le lucide analisi e considerazioni su un Novecento barbarico che ha smarrito e sommerso insieme alla natura la voce poetica e l’anima dell’uomo nella dissoluta voluttà del sesso e nelle gabbie allucinanti di inauditi e ricorrenti ferocie: “Pensavamo bastasse la dialettica/ per spezzare le scorie i soprusi/ gli inganni gli opportunismi e le furbizie./ Per questo uccidemmo il Padre/ violando la legge di cui portiamo il lutto”.
   Nell’ultima sezione del libro dal titolo Crocifissione, compare la splendida lirica che ci presenta “il volto del Cristo morente” che rivive ancora nel profondo della nostra anima per la sua morte ingiusta insieme al senso dell’attesa di un’altra “luce”. Un’altra vigorosa lirica si trova a p.33, riguardante il martirio di Cristo, di cui si coprì il corpo straziato nel lino diventato rosso porpora “e subito ricomparve l’azzurro del cielo”.
   Il senso incerto del viaggio domina la lirica di pagina 36, tra speranze e tremori di morte. Tragica e densa di un’elevata pietas, infine è la rievocazione di Dietrich Bonhoeffer, teologo protestante che fece uscire dalla Germania molti ebrei: un giusto impiccatosi il 9 Aprile 1945 nel campo di sterminio di Flossenbürg, presso la frontiera ceca: “In quell’inferno solo Gesù si trascinava/ centrò il suo cuore compassionevole, / s’intrufolò nelle scarpe lacere si posò/ sulle sue mani bianche colme di sofferenza”,p.40.
   Nel libro rimane fremente il tempo dell’attesa di qualcosa di terribile e minaccioso o di una svolta rigenerante che possa avviare l’inizio di un nuovo umanesimo. Forti e suggestive le immagini liriche si susseguono per tutto il libro sollecitando la nostra anima ad urgente riscatto di un’avvincente sublimazione delle nostre più profonde e intime urgenze spirituali nell’avveduto approccio ai problemi dell’ “Essere”.
   Intense e vibranti le parole, però rivelano un andamento disteso con una discorsività che apre a lirismi inattesi in questo suo inventario del Nulla esistenziale e nelle sue immagini di presenze-assenti, che aspirano alla speranza e alla “ratio ultima rerum”.
   Vincenzo Gasparro è uno dei pochi poeti, se non l’unico, che riesce a commisurarsi allo status esistenziale attuale dell’uomo, diversamente dai molti che, nell’ambito pittorico, in vena di sperimentatori protofisici e astratti, indagando sulla luce, danno luogo solo a dei “giochi di luce” con la velleità di voler sublimare un’entità fisica in una datità spirituale.
   Egli è poeta che indaga e verifica e che pone come fondamentale e irrinunciabile contenuto della poesia la schisi e il regresso morale e spirituale dell’uomo nell’attuale inferno esistenziale di una società depravata e feroce, tra la sua intensa pietà e forte amore e la luminosità del suo sogno e della speranza, avendo raccolto da tempo l’invito espresso dal Montale che sarebbe arrivata “ anche per noi l’ora che indaga”.

Andrea Bonanno, Pomezia-Notizie, Anno 28(Nuova Serie)-n.1,Gennaio 2020