A tu per tu con la Legionella pneumophila
Da esperienze vissute da Vito Elia
A sentire cosa è successo in Lombardia in questi ultimi
giorni, verrebbe di esclamare “non bastava il coronavirus, adesso ci si mette anche
la Legionella pneumophila”. Per favore, niente panico questa volta!
Proprio quando ancora siamo tutti presi dalla pandemia Covid
- 19, in questi ultimi giorni, il
sistema mediatico ha focalizzato parte delle sue attenzioni su qualcosa che sta
avvenendo proprio non molto distante dal luogo in cui vivo con la mia famiglia,
in provincia di Varese. I fatti denunciati parlano di una quindicina di casi di
infezione da Legionella verificatisi a Busto Arsizio, si parla anche di due
morti, ma l’assessore alla sanità della regione Lombardia Giulio Gallera fa
sapere che si tratta di un uomo, nato nel
1942, e ricoverato in Broncopneumologia per polmonite da Legionella, morto per
altra causa. Il secondo decesso invece riguarda una donna del 1939, ricoverata
in Medicina e morta per patologia neoplastica. Lo stesso Gallera fa sapere
che la situazione è sotto controllo.
Io stesso, nel mio piccolo, penso che non sia proprio il caso
di scatenare una nuova psicosi generale, considerato che in questo momento ne
abbiamo ben donde. Nell’ascoltare e leggere le notizie sulla Legionella, mi ha
riportato indietro nel tempo. Ho pensato e
ripensato più volte alla mia vecchia professione ospedaliera, vissuta in un
laboratorio di Microbiologia e Genetica. Ad un certo punto mi sono chiesto se
non era il caso di rendere di dominio pubblico alcune importanti esperienze
vissute, nella speranza di contribuire attraverso la mia narrazione a far
meglio comprendere quanto sia utile avere in possesso nel proprio bagaglio
culturale alcune fondamentali conoscenze scientifiche, che possono ritornarci
utili in casi drammatici, come ad esempio quello che stiamo vivendo dalla fine
dell’anno 2019 a tutt’oggi, fuggendo il rischio di farsi trovare del tutto impreparati e cadere nella morsa, come dicevo
prima, di una psicosi generale.
Parte da qui una più o meno breve narrazione di eventi
importanti, succedutesi nel corso della mia esperienza lavorativa presso
l’Ospedale di Circolo di Varese, che si è dipanata nel lungo periodo di 35
anni, a partire cioè dai primi del mese di agosto 1972 e la fine di luglio 2007
quando, maturato il diritto di quiescenza, ho deciso di dedicare la restante
parte della mia vita alla passione dell’arte, oltre che alla mia famiglia.
Molti anni or sono, siamo ai primi anni ’80, nel Reparto di
Cardiochirurgia dell’Ospedale di Varese vennero registrate alcune morti
sospette, una dopo l’altra, tanto che ad un certo punto, molto preoccupata, la
Direzione Sanitaria decise di intervenire, istituendo un tavolo di crisi a cui prese
parte, tra l’altro, il primario della Cardiochirurgia Prof. Emilio Respighi (autore
di alcuni interventi a cuore aperto a nostra amica di famiglia cegliese) e
l’allora direttore del Laboratorio di Analisi Chimico Cliniche, Microbiologiche
e Genetica Prof. Francesco Porta, per un’analisi approfondita della situazione
e per decidere insieme gli opportuni provvedimenti da adottare, nel tentativo
di spezzare così la catena dei decessi.
In quella sede vennero messe a fuoco le singole situazioni
che avevano avuto come epilogo la morte di alcuni sfortunati pazienti. Cosa
importante, fu fatta luce pure sugli elementi che stabilivano una correlazione
tra un decesso e l’altro. Insomma, nell’incontro emerse un fattore oggettivo
importante e cioè che a determinare la morte dei pazienti era stato uno stesso
batterio, ovvero un ceppo di Staphilococcus
aureus molto resistente in ambito di antibiotico terapia.
Il risultato di quel tavolo portò dunque la direzione
sanitaria del maggiore degli ospedali varesini a prendere alcuni drastici
provvedimenti, uno dei quali, il più importante, volto a scoprire la fonte di
infezione da Staphilococcus aureus. Appena
giunto di ritorno in Laboratorio, ricordo il direttore di essere venuto a
trovarmi nel mio studio di Coordinatore dei Tecnici, al fine di aggiornarmi
sull’esito dell’incontro, avuto in direzione sanitaria, e per conferirmi un
incarico speciale, ossia organizzare un servizio di intervento microbiologico
nel reparto di Cardiochirurgia, dove si erano verificati i decessi prima
menzionati.
Era la prima volta che un intervento di quel tipo veniva
prospettato. Ricevuto l’incarico, organizzai un cronoprogramma, al fine di
effettuare una serie di prelievi su tutti gli operatori in carico al reparto di
Cardiochirurgia, a cominciare dal suo direttore prof. Respighi sino all’ultimo
degli infermieri, non tralasciando impiegati ed OSS. Insomma nessuno escluso.
Il primo obiettivo era dichiaratamente quello di verificare microbiologicamente
se la fonte d’infezione potesse essere umana e dunque individuabile in uno
degli operatori di quel reparto ospedaliero.
Un secondo obiettivo, egualmente importante, fu quello di effettuare
test microbiologici ambientali, per capire se la fonte d’infezione era invece da
ricercare negli ambienti, gli stessi in cui avevano trovato ospitalità gli
sfortunati pazienti, prima della loro inaspettata e tragica fine.
Per quel che riguarda il personale medico e paramedico,
effettuai personalmente una serie di prelievi nei più importanti siti corporei.
Utilizzando tamponi sterili, effettuai prelievi oculari, auricolari, nasali
(coana six e dex), poi faringeo, ascellare, interdigitale, inguinale. In
aggiunta a questi prelievi, ad ognuno degli operatori ordinai di raccogliere un
campione sterile di urina e di effettuare un tampone rettale. Tutti i prelievi
così ottenuti vennero sottoposti ad esame colturale presso il settore di
Batteriologia, nel tentativo di centrare la risposta che volevamo, ovvero poter
isolare il batterio killer.
Per quanto riguarda i test microbiologici ambientali, adottai
alcune soluzioni “fatte in casa”, considerato che era la prima volta di un
intervento di quel tipo. In conclusione, lasciai una serie di piastre di Petri
contenenti terreni colturali vari a contatto con l’aria ambientale, per un
tempo prestabilito, nei punti critici delle camere che avevano ospitato gli
sfortunati pazienti, successivamente deceduti ed eseguii una serie di tamponi
nelle vicinanze del letto, sul comodino, su alcune strumentazioni, ecc., ecc.
Senza troppo dilungarmi, dirò che le indagini microbiologiche
portarono a individuare la fonte di
infezione, ovvero le mani di un operatore socio sanitario, portatore
sano di Staphilococcus aureus, molto
resistente agli antibiotici, dunque lo stesso agente batterico Gram-positivo
che aveva causato una serie di decessi nell’Unità di Cardiochirurgia
dell’ospedale varesino.
E’ fuori dubbio che, riconosciuta la fonte d’infezione e
prese le dovute precauzioni, da quel momento in quell’importante reparto ospedaliero
sia ritornata la serenità giusta, per poter riprendere l’attività con ritrovate
determinazione ed efficacia.
E’ ormai storia, nacque da quello sfortunato evento il
Servizio Prelievi Microbiologici Ambientali di quella che più tardi assumerà la
denominazione di Azienda Ospedaliero Universitaria - Ospedale di Circolo di
Varese. Questo nuovo Servizio, unico nei n. 6 ospedali dell’Azienda succitata,
avrò l’onore ed onere di sviluppare autonomamente nel corso del tempo, a
cominciare dai primi anni ’80 sino al mese di luglio 2007, anno in cui deciderò
di lasciare l’ospedale varesino per frequentare l’Accademia di Belle Arti di
Brera a Milano e dedicarmi alla mia grande passione verso l’arte che, comunque,
ho iniziato ad alimentare, con la pittura, già dopo solo alcuni mesi l’avvenuta
assunzione presso quell’ospedale. Del resto, frequentando l’Accademia porterò
il mio importante corredo di conoscenze scientifiche, al fine di sviluppare
progetti probabilmente mai prima realizzati da altri allievi. Ma, tutto ciò
farà parte di un nuovo capitolo da scrivere.
Al fine di sviluppare il Servizio appena nato, dirò che cominciai
ad effettuare acquisti di speciali terreni colturali per prelievi ambientali a
contatto per superfici, altri terreni pronti in piastra da utilizzare unicamente
su apposite apparecchiature, fisse e mobili, predisposte ad aspirare campionamenti
di aria ambientale da testare microbiologicamente. Fatte acquistare le nuove
apparecchiature dall’azienda, di lì a poco cominciai a programmare controlli
ambientali, che sarebbero divenuti progressivamente routinari, specialmente
nelle sale operatorie, prima, durante e al termine degli interventi chirurgici.
E’ fuori dubbio che tutto ciò sia stato anticipato da un lavoro di
sensibilizzazione, portato avanti da chi scrive nei confronti dei numerosi
Capisala di tutta l’azienda.
Con il passar del tempo il servizio venne esteso alle camere
protette, agli ambienti della farmacia interna ospedaliera, in cui venivano
effettuate non poche preparazioni galeniche, tra cui sacche di alimenti
parenterali personalizzate, farmaci e associazioni di farmaci personalizzati e
ovunque si presentasse un problema di natura microbiologica. Giorno dopo
giorno, il Servizio Prelievi Ambientali non solo divenne punto di riferimento
per il maggiore degli ospedali di Varese, ma lo divenne anche per gli ospedali
della provincia, ivi comprese strutture sanitarie extra aziendali come, ad
esempio, l’Istituto Clinico Scientifico Maugeri IRCCS di Tradate.
Proprio presso questa ultima struttura sanitaria, in seguito
ad un mio intervento, fu possibile stabilire la fonte d’infezione da Legionella pneumophila, il batterio
Gram-negativo che aveva causato la malattia legionellosi di due suoi dipendenti.
E’ importante notare che ambedue i dipendenti appartenevano al gruppo degli operatori
idraulici, ed è altresì importante notare come la fonte infettiva sia stata
insita in un rubinetto mal funzionante, che permetteva uno sgocciolamento
continuo di acqua tiepida, guarda caso, posto in un’area di competenza degli stessi
operatori idraulici di quell’Istituto.
Mosso proprio da questa analogia con i fatti di questi giorni,
avvenuti a Busto Arsizio, che mi sono deciso di mettere nero su bianco e far
conoscere alcune mie esperienze vissute, la prima riguardante lo Staphilococcus aureus e le successive
vissute, potrei dire, a tu per tu con la Legionella
pneumophila, nella speranza di dare
eventualmente un piccolo contributo di conoscenza al lettore, quella conoscenza
cioè potenzialmente capace di fuggire il rischio di far instaurare nella
comunità cegliese timori tanto superflui, quanto oltremodo dannosi.
Ritengo essere utile ricordare, a questo punto, la
derivazione della denominazione del batterio Gram-negativo, oggetto delle
nostre attenzioni. Ecco cosa scrive, a proposito di Legionella pneumophila, A. Orsi in Diagnostica e Tecniche di
Laboratorio dell’autore Filippo Pasquinelli (lo stesso Prof. F. Pasquinelli,
unitamente al Prof. Franco Porta, è autore della collana dedicata ai medici e
tecnici di laboratorio, Ed. Rosini Firenze, di cui mi fregio essere uno dei
co-autori). Nell’estate del 1976 si
verificò a Filadelfia lo scoppio di una grave malattia respiratoria tra i
partecipanti ad un convegno della Legione Americana. L’epidemia colpì quasi
tutti i legionari (circa 5.000 persone) che assistevano ai lavori del convegno
nella sala di un albergo. La malattia venne pertanto chiamata “malattia dei
Legionari” ed il microrganismo che in seguito fu isolato e ritenuto
responsabile della forma morbosa prese il nome di Legionella pneumophila.
E’ utile pure ricordare che nella epidemia di Filadelfia,
dovuta al sistema di condizionamento aria di quell’albergo, vi furono 34
decessi. Tutto ciò fa parte della storia della medicina ed è stato alla base
della programmazione dei prelievi ambientali, ragionata e concordata nel corso
di un vis a vis tra il direttore della Microbiologia dell’Azienda Ospedaliero
Universitaria varesina prof. Antonio Toniolo e me medesimo, prima che io stesso
mi apprestassi ad effettuare l’intervento presso l’Istituto Maugeri in
questione. Dall’incontro con il mio direttore prof. Toniolo (toscano di
origini, subentrato nel frattempo al posto del prof. Franco Porta) emerse la preoccupazione comune che la fonte
di infezione nell’istituto testé menzionato potesse essere la stessa di
Filadelfia, ovvero il sistema di condizionamento d’aria.
Il giorno successivo, ricordo di aver effettuato prelievi
ambientali in tutte le camere dei pazienti, salendo sino in cima a quella
struttura sanitaria, dove ben visibile mi apparve la cima del monte Resegone (derivazione del termine lombardo resegón, grande sega), in una giornata di primavera-estate
che ricordo semplicemente splendida. Non solo prelievi ai condizionatori d’aria,
l’obiettivo dei prelievi era infatti focalizzato anche sui dispositivi di
erogazione acqua, come rubinetti e soffioni delle docce presenti in ogni singola
camera dei pazienti. Se la priorità era stata, per ovvii motivi, quella di
provvedere a controllare ogni camera paziente, non potevo terminare i prelievi senza
soffermarmi negli ambienti frequentati più assiduamente dal gruppo degli
idraulici, dipendenti dell’Istituto Maugeri. Questo approccio, per certi versi
scontato, si dimostrò mossa vincente che mi permise di scoprire un rubinetto
mal funzionante, che dava vita ad uno sgocciolamento di acqua semicalda, uno
dei fattori determinanti per lo sviluppo incontrollato del batterio Legionella.
Di legionelle in ambito diagnostico di microbiologia ne erano
transitate a iosa sino a quel momento, tuttavia il primo incontro diretto con
una sorgente di diffusione del batterio, per me, fu quello presso l’Istituto Maugeri ma, come
vedremo più avanti, vi sarà ancora una nuova esperienza futura, a dir poco
eccezionale, che resterà nella storia del nuovo grande ospedale di Varese.
Il Servizio Prelievi Ambientali, da me sviluppato e potenziato
nel tempo, ebbe a ricoprire un importante ruolo nell’anno 2007, quando durante
il periodo primaverile venne portata a
termine la costruzione del nuovo grande ospedale di Varese.
A quel tempo, prima di effettuare il trasloco dalle vecchie
unità operative e dai servizi vari alla nuova struttura ospedaliera, si rese
necessario effettuare un intervento di tipo microbiologico, atto a certificare
il livello di salubrità dei nuovi ambienti. In questa ottica, accettai con
molto piacere di fare una nuova importante esperienza, che si sarebbe dimostrata
fondamentale per consentire l’inizio delle molteplici attività nella nuova
grande struttura ospedaliera. Del resto, mi si era presentata una occasione più
unica che rara, che mi avrebbe permesso di arricchire con nuovi importanti dati
quella gran mole di informazioni, raccolte in anni ed anni di servizio, tanto da
indurmi ad ipotizzare una pubblicazione scientifica.
Ricordo, come se fosse ieri, i contenuti di una telefonata da
parte di una esperta caposala, che di seguito sintetizzo: <<Ciao Elia, ho ricevuto l’incarico di
programmare con te i test microbiologici ambientali nel nuovo ospedale>>.
Capii subito che quella non era stata una telefonata qualsiasi, come spesso
accadeva, quando c’era un intervento da effettuare da parte mia in una
qualsiasi sala operatoria del vecchio ospedale. Lo capii così immediatamente
che andai su tutte le furie, naturalmente la povera e brava caposala non aveva
alcuna colpa. Rimasi così stupito che la direzione sanitaria non avesse colto
il giusto risalto da conferire ad un’operazione assai importante, che mai sin
allora era stata effettuata. Per farla
breve, il giorno dopo io, il prof. Antonio Toniolo e il direttore sanitario dott.
Andrea Larghi ci ritrovammo, vis a vis, nei vasti ambienti del nuovo Quartiere
Operatorio e decidere insieme cosa fare.
Già il giorno dopo diedi inizio ad un’operazione a dir poco
ciclopica. Ricordo di essermi inabissato nel punto più basso del nuovo ospedale,
al piano -2, dove trovava ubicazione il nuovo grande quartiere operatorio,
composto da n. 20 sale operatorie (a quel tempo il secondo più grande in
Italia). Con l’aiuto di tamponi sterili, ma soprattutto con una speciale
apparecchiatura effettuai numerosissimi prelievi su tutti i letti operatori,
sulle grandi lampade scialitiche, sui quadri elettrici, sulle apparecchiature
presenti, ecc., ecc. Tutto ciò in ogni singola sala operatoria. Passai ore ed
ore in solitudine, in aree sterminate interrate e già immaginavo quanti
pazienti futuri sarebbero passati su ognuno di quei nuovissimi letti operatori.
I giorni a seguire, da quel piano sotterraneo, emersi per
completare ogni piano di quella nuova struttura ospedaliera, sino a raggiungere
quello apicale, il 7° ed ultimo, realizzando interventi perciò su un totale complessivo
di n. 9 livelli. Un lavoro interminabile, come dicevo prima, ciclopico,
certamente impensabile all’inizio, un lavoro che fui costretto a ripetere più
volte, a causa di una elevatissima carica batterica (da guerra batteriologica),
guarda caso, di Legionella pneumophila,
riscontrata in tutta la rete idrica (rimasta per mesi praticamente
inutilizzata, quindi con conseguente pericoloso ristagno di acqua).
A quel tempo, nel mese di Giugno 2007, ci sarebbero state le
elezioni comunali e provinciali, ragion per cui la “Regione Lombardia” e
soprattutto i partiti più direttamente interessati si spesero, insieme alla
direzione sanitaria e generale dell’Azienda, in una malcelata pressione, al
fine di far terminare i lavori prima possibile e consentire, attraverso una
immancabile e strombazzata inaugurazione (molto cara ad ogni latitudine alla
classe politica italiana), la presentazione della nuova grande struttura
ospedaliera di Varese, come un gran fiore all’occhiello da mostrare
orgogliosamente ai propri elettori.
Ricordo assai bene le tensioni, in seno ed al di fuori dell’azienda,
tra gli opposti partiti politici, per via degli allungamenti di tempo non
previsti, dovuti al moltiplicarsi inaspettato dei controlli microbiologici che
mi avevano visto schierato in prima linea, insieme al gruppo di alcuni
ricercatori dell’Università dell’Insubria, guidati dal Prof. Antonio Toniolo,
direttore della Microbiologia e Genetica di cui facevo parte. Alla fine di un
lavoro, davvero straordinario, seguì una massiccia bonifica ambientale di tutta
la nuova struttura ospedaliera, coordinata dalla direzione dell’Ufficio Tecnico
della stessa azienda. E i Media?, fecero la loro parte, come al solito un gran
rumore, a tal punto che si rese necessario un intervento da parte dei NAS
(Nuclei Antisofisticazioni e Sanità dell’Arma - Carabinieri).
Sia pure in “zona Cesarini”, le operazioni dei controlli
microbiologici e le operazioni di bonifica ambientali cessarono in tempo utile
e le attività di trasloco cominciarono ad essere messe in atto, unità operative
una dopo l’altra. Contestualmente ebbe inizio così il progressivo abbandono di
buona parte di alcuni vecchi padiglioni, che avevano ospitato sino a quel
momento non poche unità operative e servizi ospedalieri. Terminata questa
grande operazione logistica, fu reso finalmente possibile l’avvio delle
attività nella nuova grande struttura. Tutto ciò giusto poco prima che io
entrassi in regime di quiescenza.
Un bel finale anche per me, peccato però che l’allungamento
della tempistica dei controlli ambientali e della relativa bonifica finale
abbiano di fatto impedito di portare a termine un progetto, che mi stava molto
a cuore e per il quale avevo già incassato il nulla osta dalla Direzione
Generale, ovvero un importante intervento di recupero di alcuni affreschi
all’interno della Villa Tamagno (appartenuta al grande tenore, nato a Torino
nel 1850 e morto a Varese nel 1905), ancora oggi sede della Direzione Generale
dell’Azienda Ospedaliero Universitaria - Ospedale di Circolo di Varese. A quel
tempo, per questo progetto ero riuscito ad ottenere una importante
sponsorizzazione, che avrebbe permesso di effettuare il recupero degli
affreschi, senza l’esborso di denaro pubblico, passando attraverso un mio
preliminare intervento di tipo microbiologico. Una nuova innovativa esperienza
purtroppo andata a vanificarsi, a causa di forza maggiore, per impedimenti cioè
dovuti a eventi assolutamente imprevedibili, come lo erano stati i ripetuti
prelievi ambientali, nei complessivi 9 livelli della nuova struttura
ospedaliera.
Trovo oltremodo gratificante aver narrato alcune mie
esperienze lavorative, sia pure non entrando nei particolari tecnici, per far
conoscere alcuni eventi legati alla diffusione di batteri negli ambienti
sanitari, in un momento particolarissimo della nostra vita, messa in severa discussione dal propagarsi
della pandemia Covid - 19, sostenuta da Coronavirus - 2 (SARS- CoV – 2), che
tante vittime si porta dietro, dopo ben più di un durissimo semestre, vissuto
nella paura per il forte rischio di contagio, se non in momenti di vero diffuso
terrore.
Sono sincero, tutta questa narrazione in altri momenti non
l’avrei fatta, ed è per la viva speranza che possa servire alla conoscenza, sia
pure per grandi linee, della Legionella
pneumophila, un batterio di cui dobbiamo aver rispetto, senza però farci
prendere dal timore ossessivo che un giorno o l’altro possa farci del male. Il Coronavirus
– 2, lasciatemelo dire, è una brutta bestia, la Legionella è altro, non può essa
diffondersi tra la gente allo stesso modo in cui sta facendo quel maledetto
virus. Insomma attenzione, attenzione al nostro stile di vita, al modo sempre
più consapevole di affrontare ogni evento di tipo sanitario, leggendo,
studiando, cercando le fonti di informazione credibili, tra le istituzioni
scientifiche universalmente riconosciute, tutte cose cioè indispensabili per abbattere
definitivamente quel retaggio di modus
vivendi del passato, spesso volte pregno di non cultura, che non ha più senso
di esistere.
Prima di concludere, mi piace ricordare che siamo circondati
da una infinità di microrganismi, molto spesso buoni ed utili all’uomo (lo
stesso nostro organismo ne ospita miliardi) ed alcune volte potenzialmente
patogeni. Per quel che riguarda la Legionella è bene ricordare che è un
batterio che vive negli ambienti umidi, ad esempio impianti idrici, tubature, serbatoi
dove si moltiplica, è bene tenere sempre in mente, in condizioni di stagnazione, con temperature comprese tra 20 e 45°C.
Per finire, sento il dovere ma anche il piacere di rivolgere ancora
una volta, sentitissimi ringraziamenti ai Blogger cegliesi per la loro appassionata
opera di informazione, a favore della comunità di Ceglie Messapica e non solo.
Naturalmente, rivolgo pure un
ringraziamento sincero a coloro i quali avranno avuto la bontà di dare lettura
al mio racconto ed un cordiale saluto a tutti i miei concittadini di nascita.
Varese, 11 settembre 2020
Vito Elia