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Na strende m'agghje 'ndise atturne o core / de fueche. Na u fa cchjù, ca pozze more. Da “Nu viecchju diarie d'amore” di Pietro Gatti

giovedì 1 febbraio 2018

Padre Tito Amodei


Questo mosaico della nostra chiesa di Ceglie Messapica è stato realizzato nel 1967 da padre Tito Amodei passionista morto ieri. Rappresenta San Paolo della Croce in estasi che viene abbracciato dal crocifisso davanti al quale stava pregando.

Intervista. L'artista padre Tito Amodei: il segno che fa la differenza
Alessandro Beltrami martedì 8 marzo 2016
Parla il padre passionista e scultore: «La Chiesa si è fatta complice di un artigianato industriale che deprime i più alti misteri della fede al kitsch più deprimente. Così manca l’anima»

Tutto ha avuto inizio con un segno. Padre Tito la chiama «un’epifania». Aveva sette anni: «Mio padre, un contadino, disegnò sul quaderno un asinello. Sul foglio bianco vidi prendere vita una forma. Fu uno sgomento e un’illuminazione». La magia di quel segno, nella luce della campagna molisana dove è nato nel 1936, Tito Amodei non l’ha più dimenticata e l’ha inseguita per tutta la sua vita. Anche oggi, sulla soglia dei 90 anni che compirà l’11 marzo: «Ogni giorno faccio qualcosa. Fermo non ci sto…». Tito Amodei è padre passionista e artista. Il suo studio, ai piedi della Scala Santa a Roma, è la sua cella. Vi scende ogni mattina, dopo la Messa. Ci è arrivato nel 1966 da Firenze, dove per volontà dei superiori aveva studiato all’Accademia, nelle classi di Primo Conti e Giuseppe Viviani. Le stanze traboccano di opere. Bronzi, gessi e dipinti carichi di energia espressionista degli anni 60, totem lignei degli anni 70, le geometrie e le forme che si fanno sempre più pure a partire dagli anni 80. Negli spazi annessi nel 1970 Tito ha fondato Sala Uno, dove ha organizzato mostre di artisti come Wotruba e Matta. Padre Amodei ha esposto in tutto il mondo, da New York a Baghdad. Ha realizzato sculture, mosaici e vetrate in molte chiese (suo è il tabernacolo della cappella di Santa Marta in Vaticano). Suoi lavori sono conservati ai Musei Vaticani, allo Smak di Gand, all’Albertina di Vienna, al Museo di arte moderna di Tel Aviv. Ha sempre cercato di fare arte senza etichette, che fosse una Deposizione o un’opera astratta: «L’artista vero, o che presume di esserlo, fa le cose indipendentemente dal soggetto. Io ho cercato sempre di sostenere il mio carattere, il mio stile». Ma se tocchi il rapporto tra sacro e contemporaneo, un tema su cui si batte fin da prima del Concilio, gli guizza lo sguardo: «Mi mette la miccia sotto i piedi». Accendiamola.