La Gazzetta del Mezzogiorno 5-08-11
WE INSIST!
(22 giugno 2011 la speranza muore)
Solo tra la gente con propria solitudine con vuote emozioni sofferenti
che scavano solchi con l’apice della disperazione che bussa alla porta della logica
Cosa imprigiona l’animo, mentre la vita sorride?
Il silenzio è tutto per capire l’eternità che da’ pace assoluta
nel tacere vaga sensibilità altrui nell’urlare la rabbia soffocante
di indifferente determinazione che esprime l’inespresso oblio
che non conosce la speranza che va a morire in pensosa coscienza
non comprendendo il pensiero atterrito che tacito sragiona…
Rugiadoso buio emissario di questa notte che passerà senza dolore
da brivido a tenebrosa ombra che s’allunga
ombre che accrescono in sé in spenta luce
nell’aurora che va a riposare al di là del labirinto
non si vede luce nella sofferenza che aleggia
nella calura serale di giugno che seduta sulla panchina ansima
resta lì a fissare lo sconforto che soggioga la sorte
mentre un alito smuove le foglie…
l’albero dal seme ha dato il suo frutto
al culmine del gesto tese braccia verso terra
non lo raccoglierà il frutto, indica la sua sepoltura
Apatica s’indora l’ultima luna impaurita
rimane a guardare ammutolita l’incosciente atto
che urla alienante dolore di sospirata fragilità di insonni sogni infranti
e di quello che resta dell’inquietudine risoluta
che stanca va a riposare nel richiamare il nome del figlio
risuona furioso grido di madre, nella sola parola: Perché?
Cosa attanagliava, cosa ti angustiava
non c’è risposta a tanti perché?
Rimbombano nel tradire silenziosa riflessione sovrastante
che avverte sensazioni di trasparente esistenza
Così, la tua sussistente vita era di passione e musica ricercando l’inusuale armonia
che ora non ha orecchio per ascoltare le ultime note che si rincorrono
tra vecchie ore defunte nel rintocco di campane a lutto
di struggente saluto dell’ultimo esterrefatto arrivederci
addio amico di tanti
Antonio Conserva © 2011
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Na strende m'agghje 'ndise atturne o core / de fueche. Na u fa cchjù, ca pozze more. Da “Nu viecchju diarie d'amore” di Pietro Gatti